Per il ciclo “Incontri d’autore”, curato dai giornalisti Gino Castaldo ed Ernesto Assante, la sala Santa Cecilia dell’Auditorium Parco della Musica ha ospitato Luciano Ligabue, accolto da un folto pubblico.
L’intervista evento ha preso il via parlando dell’ultimo disco del rocker di Correggio, Made in Italy, concept album che rappresenta un inedito esperimento non solo per la scelta di costruire una narrazione raccontata dall’insieme delle canzoni che lo compongono, ma anche per le sonorità piuttosto distanti dalle classiche produzioni di Ligabue.
La riflessione su questa distanza ha innescato un discorso sul senso di “compressione” che ha da sempre trovato nel rock una valvola di sfogo, una compressione che se negli anni ’70 era propria solo del mondo giovanile, oggi trova terreno fertile anche nei cinquantenni, come il Riko protagonista del disco.
Se Made in Italy è un modo nuovo di scrivere una lettera d’amore al rock che Ligabue ha continuamente reinterpretato nel corso della sua carriera, la musica non si può dire gli abbia salvato la vita, ma “certamente l’ha resa più figa”, per un cantante che sente particolarmente il rapporto col proprio pubblico e la fame di concerti dal vivo, veri momenti di luce della propria vita.
La discussione si è quindi spostata sulla carriera di Ligabue, a partire dagli esordi non certo immediati, ed è stata condita da aneddoti spassosi come quello inerente il discografico che a inizio carriera riteneva “Balliamo sul mondo” – per Castaldo uno dei più bei brani rock della musica italiana – “troppo uguale a Guccini”(!).
Ligabue è stato poi definito un autore “multimediale”, in considerazione del successo ottenuto con forme d’arte diverse oltre alla musica, che comprendono diversi libri e due film, cui sembra potrebbe in un futuro prossimo aggiungersene un terzo.
Questo successo su tanti fronti non è stato scevro di conseguenze: all’indomani dei risultati eclatanti di Buoncompleanno Elvis! e di Radiofreccia la tentazione di sentirsi onnipotente ha posto le basi di una riflessione sul concetto di identità che ha trovato in Miss Mondo la sua espressione in musica e ha cementato il rapporto con dei fan che avevano già colto una verità di temi ed emozioni condivisa dietro le sue canzoni, fra le tante quella Certe notti che, sentita cantare da tutto l’auditorium, inevitabilmente ha dipinto sul volto del cantante un sorriso.
Dopo un ricordo divertito e divertente di Pierangelo Bertoli, forse il primo a riconoscere le qualità di Ligabue, i due anfitrioni hanno strappato al cantante alcune considerazioni sul nobel a Bob Dylan, momento di riconoscimento della musica popolare come forma d’arte, con le sue regole e le sue specificità, troppo spesso sottovalutate.
Alla richiesta di concludere l’incontro con una riflessione su cosa la straordinarietà della sua carriera ed esperienza gli abbiano insegnato sull’esistenza, Ligabue, riprendendo le parole di Questa è la mia vita, ha detto che ben poco ne ha capito e certo non pensa di poter dar lezioni, ma che sente che ognuno di noi ha la responsabilità di darle valore e indirizzo, un valore e un indirizzo le cui basi partono dall’interno, lì dove per primi dobbiamo procedere ad una rivoluzione di cui il rock è stata l’espressione esteriore.