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A tu per tu coi Travis, in concerto qualche giorno fa a Roma

C’è il sole, c’è una terrazza storica e monumentale e poi ci sono loro, Fran Healy e Dougle Payne, rispettivamente frontman e bassista dei Travis, protagonisti martedì del Just Music Festival, la rassegna musicale giunta al secondo anno che ha visto numerosi grandi nomi della musica mondiale suonare negli scenari più suggestivi della capitale. Li abbiamo incontrati poche ore prima del concerto per una chiacchierata informale…

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Contenti di essere a Roma?

DOUGLE: Siamo molto emozionati ed eccitati, io personalmente è tanto tempo che non passo per Roma, son venuto 9 anni fa per vacanza, e non posso che essere felice di stare di nuovo qui.

Un successo strepitoso un decennio e più fa, poi sempre meno album con un periodo anche di silenzio totale…che è successo fino al 2013?

FRAN: Nulla di preoccupante, abbiamo avuto dei bambini e siamo diventati padri, avevamo altre priorità…nulla di più.

Quanto vi ha cambiato la paternità?

F: Siamo persone molto precise, ordinate, siamo riusciti a focalizzarci sul lavoro nonostante le nostre famiglie, quindi forse non è cambiato molto a livello di lavoro.

D: Siamo cresciuti, siamo adulti ed ora abbiamo dei bambini, ma quando suoniamo e siamo sul palco i bambini torniamo ad essere noi.

E a livello di testi vi sentite più maturi?

F: E’ più una cosa di pancia quando scriviamo i testi, parliamo di emozioni e sensazioni viscerali, c’è poco di ragionamento e di raziocinio. Pur essendo cresciuti di testa poi le canzoni escono fuori da sole, e non sempre riflettono la nostra maturità.

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Nella canzone del nuovo album “Paralysed” si parla di social network, di necessità di tornare ad un contatto fisico tra persone…

F: Premessa, non odiamo i social, è solo che siamo in un mondo in cui pensiamo di essere sempre connessi con tutti invece non siamo mai stati così lontani, ognuno fissato sul proprio smartphone, quando invece non dobbiamo dimenticare che siamo esseri umani ed il contatto per gli umani è fondamentale.

E ci sono soluzioni?

F: Non c’è soluzione, l’unica cosa da fare è rimanere fermi e guardare come crollerà tutto…

D: Sia ben chiaro noi non giudichiamo chi vive sui social, né predichiamo qualcosa, cerchiamo solo di dare un punto di vista su questa realtà che non è realtà.

Vi sentite invecchiati rispetto a 20 anni a fa? Il vostro stile non sembra invecchiato…

F: E’ vero, non pensiamo di essere invecchiati come stile, anche perché ogni canzone è diversa dall’altra, e non c’è o almeno non abbiamo cerchiamo una continuità nelle nostre canzoni, un percorso evolutivo…oggi c’è gente che fa musica solo pigiando su un tasto di un aggeggio elettronico, probabilmente tra qualche anno ci vedranno come viene vista la musica jazz oggi.

D: La musica è sempre in evoluzione, va di pari passo con la tecnologia, come cambia lei cambia anche il sound…oggi si può suonare solo con un dito, chissà cosa ci regaleranno le nuove tecnologie a livello di canzoni.

F: A noi questa cosa che si possa fare musica con solo un dito non ci va troppo giù, ma alla fine non è importante come si fa musica o che tipo di musica si fa, l’importante è che poi si radunino delle persone per ascoltarla tutti insieme condividendo emozioni e momenti. In tutto ciò il cantare è fondamentale, è come in chiesa per i gospel: la musica cantata unisce e riunisce.

Vi ho sempre considerati come il punto di svolta del britpop, la fine di un genere e l’inizio di qualcosa di nuovo…vi ci sentite?

F: Si probabilmente sì. Anche se in realtà noi siamo arrivati alla fine del periodo del cosiddetto “britpop” e non ci siamo mai sentiti totalmente parte di quel mondo, non siamo mai stati un gruppo commerciale, abbiamo sempre scritto canzoni per nostro gusto, per dedicarle a qualcuno, non perché vengano vendute o suonate in radio.

C06A5716Preferite il live o la parte creativa, in studio a scrivere?

D: In una certa maniera entrambi, anche se io penso di preferire la parte in studio, quando posso sprigionare la mia creatività.

F: Se sei un giocatore stai sul palco, se sei un creativo preferisci stare in sala di registrazione. Al live non c’è nulla di costruttivo, anzi forse c’è qualcosa di distruttivo.

 

Cosa c’è dentro questo ultimo album, quale è stata la spinta per crearlo?

F: Mah l’input alla fine è stata solo la voglia di riunirsi, di rimettersi al lavoro, a “smanettare” sugli strumenti per vedere se poi uscisse fuori qualcosa che ci potesse piacere.

Come mai così breve quest’album?

D: Per una vita abbiamo fatto canzoni lunghe e strutturate a cui tenevamo tantissimo che poi ci tagliavano perché non andavano bene per la radio. Adesso invece ci sono uscite direttamente in questa maniera, brevi, taglienti, e ci sono piaciute da subito…”Perfetto così” abbiamo pensato!

Perché nel video di “3 Miles High” siete a passeggio in braccio a dei body builder? Come è nata questa idea?

F: Riguardando la canzone c’era questa immagine che mi si è fissata nella testa non è più andata via, è perfetta, e poi secondo me esprime al massimo il messaggio che volevamo dare con la canzone: la sensazione dell’essere disconnesso, lontano dal mondo, come se fossi per l’appunto “3 Miles High”. L’immagine dei body builder che ti sollevano e ti rendono estraneo al mondo “basso” secondo me si rispecchia alla grande con quello che volevamo dire.

Che ne pensate dei talent show?

F: Talent? Dove sono questi talenti? E’ solo un piccola parte di quel mondo che è la musica, ma obiettivamente va riconosciuto che hanno salvato l’industria discografica in questo periodo.

Avete fatto addirittura un film…

F: Sì, ho sempre voluto girare un film, ma ho sempre avuto una paura tremenda. Stavolta ci siamo lanciati, abbiamo avuto quest’idea di unire tutti i nostri otto videoclip per farne un lungometraggio ed il risultato ci ha soddisfatto a pieno. Chissà che non si possa rifare come esperienza…

Progetti per il futuro? Ci sono già idee, cose in ballo?

D: Il futuro? Eh boh, macchine volanti, uomini mutanti…chi lo sa!

Intervista a cura di Adalberto Piccolo.

Fotografie di Stefano Cappa.

Adalberto Piccolo

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Responsabile editoriale, responsabile della comunicazione, responsabile social media. Ma comunque poco responsabile. "Il Mondo non è perfetto: in un mondo perfetto Mark Chapman avrebbe sparato a Yoko Ono".

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