Roma Città Morta è un esperimento originale, che per altro si propone di essere il capostipite di una serie potenziale di operazioni analoghe, che vedano artisti provenienti da campi diversi – l’ipotesi di associare nuovamente uno scrittore e un fumettista sembra la più fattibile, ma chi può dirlo… – per raccontare la realtà di un’Italia post-apocalittica, in cui altre città, oltre la capitale, affrontano a loro modo la vorace minaccia non-morta.
Ma tornando a Roma Città Morta, il racconto ci porta nella capitale diverso tempo dopo che gli zombie hanno cominciato ad invaderla. In qualche modo la città si è rialzata e diverse fazioni, fra le quali la più organizzata è quella che controlla il centro storico, hanno ricostruito delle strutture sociali funzionali alla sicurezza di quanti hanno scelto di aderirvi, con risultati inaspettatamente positivi…ma le apparenze possono ingannare e non è decisamente tutt’oro quello che luccica…
Marengo e Bevilacqua, che interpretano loro stessi nel libro, sono chiamati ad essere cronisti dell’epoca: dovranno documentare lo stato della città, attraverso le loro diverse sensibilità, per costruire la memoria storica di questi momenti e, se ancora esistono sacche di civiltà in giro per il mondo, portarvi la testimonianza di come la Capitale si sia riorganizzata e viva l’apocalisse zombie. La commistione di testi e disegni crea un racconto completo e organico, che permette al lettore di godere di un vero e proprio diario doppio, capace di intrecciare le voci come di tenerle ben distinte. La vera protagonista della storia, ancor più dei due autori e dei loro comprimari, è la città, o meglio ancora lo spirito della città, quel modo di essere fuori dal tempo e in qualche modo inattaccabile dai drammi, quotidiani o straordinari, che Roma e la sua cittadinanza hanno sempre dimostrato. Pregio e difetto della Capitale, questo suo “tirare a campare”, arrangiarsi ma anche accontentarsi, segna in modo marcato il tratto di una critica sociale che guarda ad un’ipotesi di futuro apocalittico per raccontare la quotidiana apocalisse del presente: i mali sociali e umani, che gli zombie in parte incarnano e in parte fanno emergere nei sopravvissuti, sono espressione dei difetti e dei limiti che caratterizzano il romano come l’italiano tout court. Il morto vivente e la minaccia che rappresenta, in un primo momento sembrano la scintilla che innesca un cambiamento radicale e necessario, ma la percezione che i due autori trasmettono è che questo cambiamento è solo contingente, prelude ad un ritorno dell’uguale, una ricaduta in meccaniche malate più degli zombie stessi, ma che, forse, ora è possibile combattere.
Un finale a sorpresa, interessantissimo e innovativo nel panorama della fiction non-morta, apre ulteriori e forse anche più inquietanti scenari, in un universo narrativo distopico che descrive la nostra realtà in modo drammaticamente efficace, rendendo Roma Città Morta qualcosa di più di un romanzo horror sci-fi.