Certe volte, capita di incontrare artisti la cui fama precede il loro nome. Può succedere che si resti delusi nel constatare che l’idea che ci eravamo fatti di questo o quello, non rispecchi la realtà. L’incontro con uno degli artisti italiani più noti all’estero, Marco Lodola, invece, ha saputo riservare quel tipo di sorprese che arricchiscono persone come me, fameliche di conoscenza. Marco Lodola, nato a Dorno (Pavia), nel corso della sua carriera di artista, tutt’ora molto impegnata, ha collaborato con artisti del mondo della musica come Gianluca Grignani, per la copertina del suo ultimo disco, “A Volte Esagero” (2014), e Ron, ha esposto alla Biennale di Venezia due volte e ha esposto in città come New York, Parigi, Ginevra, Shangai e Londra, e ha creato installazioni luminose nelle principali città italiane. Nasce come artista sin da bambino, a scuola, quando la sua mano gli permetteva di fare “un cerchio più tondo rispetto a quelli dei miei compagni” dice lo stesso Lodola.
Quindi avevi un dono?
“Non dico di aver avuto un dono, ma capii di possedere una specie di bravura. Da lì, da quel preciso momento, ho capito cosa avrei dovuto fare. Ho proseguito i miei studi con il Liceo Artistico, e poi ho seguito il mio percorso di formazione artistica all’Accademia di Belle Arti di Firenze e di Milano. Credo che ogni artista che si definisca tale debba affrontare un percorso di formazione come il mio. Un po’ come per la patente: prima di guidare e prendere la macchina, bisogna prendere la patente”.
Qual’è l’opera più rappresentativa di Marco Lodola?
“Tutte quelle che faccio con i Led. Sono installazioni che di solito da lontano non sono chiare, ma da vicino assumono forme diverse e particolari. A volte, sembrano non avere senso, ma il mio intento è un po’ quello di ricreare l’universo; hai mai visto la via lattea una sera in cui il cielo è limpido? Ecco, prendo ispirazione da quella forma”.
E la reazione di chi si interfaccia con una tua opera qual’è?
“Quella che riscontro spesso è una reazione iniziale di stupore, dal momento che non si capisce subito la forma dell’opera in questione. E queste reazioni, di solito mi piacciono”.
Come spiegheresti, ad una persona che non lo sa, che cos’è l’arte?
“Il mio concetto di Arte prescinde dalla natura stessa della parola, dal momento che oggi di artisti ce ne sono troppi. E’ ormai inflazionato il termine ed il significato, perché esistono talmente tante diverse accezioni accettate di arte che nemmeno io so più se sono un artista, un po’ come i cosiddetti artisti concettuali. Oggi tutta l’arte è di fatto concettuale, tanto che da anni ormai, dalla sedia di Picasso ai Baffi di Marcel Duchamp, ogni artista fa qualcosa che poi va spiegata. Se mi definissero un Elettricista, allora lo accetterei, perché so di cosa stiamo parlando”.
Quindi sei un elettricista?
“Ovviamente no, ma lavorando con le luci e le installazioni luminose, se una persona mi definisse tale sarei felice per il fatto che ha capito quantomeno l’essenza del mio lavoro.”
Quali sono i momenti più decisivi e gratificanti della tua carriera di artista?
“Due in particolare, tra tutti. Quando ho partecipato alla Biennale di Veneziale, nel 2009 e nel 2011, un momento della mia vita in cui mi son reso conto di essere arrivato in alto, nel senso che mi sarei interfacciato con moltissima gente che sarebbe arrivata da tutto il mondo. Ed il secondo, quando mi hanno chiesto di rifare la facciata del teatro Ariston a Sanremo in occasione della 58° edizione del Festival di Sanremo. In quel momento, ho capito che avrei fatto qualcosa di grande, perché mettere le mani su un teatro come l’Ariston significa che a qualcuno sono arrivato.”
Come definisci il binomio arte – musica?
“E’ un binomio che arriva da lontano, un meccanismo cinestetico. In passato si sa, moltissimi artisti contaminavano il linguaggio musicale in diversi modi, attraverso la stesura di dipinti che derivavano dall’ascolto di una melodia, piuttosto che da altri linguaggi di comunicazione non verbale. Oggi ci sono artisti che ci provano a fare questo tipo di lavoro, e io lo trovo interessante”.
Quando segui la tua vena creativa, pensi a quello che potrebbe piacere al tuo pubblico? O segui il tuo istinto e il tuo gusto?
“Beh, tutto parte da se stessi. Quando ho iniziato ad essere un artista, l’ho fatto per esorcizzare delle paure mie, per comunicare certe emozioni che avevo dentro, senza bisogno di andare da psicologi o fare terapie ben precise. In questo caso, vale la stessa regola: parto sempre da me stesso durante la fase creativa delle mie opere, sperano di essere letto nel modo giusto da chi mi segue.”
La nostra testata si chiama Four Magazine. Qual’è il tuo numero?
“Beh, rimanendo in tema, il mio numero è proprio il 4: il numero dei Beatles”.