Per 100 anni e forse più, il continente europeo si è diviso tra i due totalitarismi più folli che l’umanità abbia conosciuto: il fascismo, soprattutto nella sua abiezione nazista, e il comunismo. Nemici ma gemelli. Due film presentati oggi al Festival del Film di Roma li raccontano da precisi e curiosi punti di vista: Phoenix di Christian Petzold e Angels of Revolution di Aleksey Fedorchenko. Due film in cui la guerra e il suo orrore più che morti lasciano ricordi, fantasmi. Oppure squarci nell’identità, come nel film di Petzold la cui protagonista è una sopravvissuta sfigurata dell’Olocausto che torna a casa con un nuovo volto, ma una personalità in frantumi, incapace di decidere se ricominciare con un altro nome e un altro volto, magari in Israele, o tornare dall’uomo che amava e che ora non la riconosce. Il tradimento di una nazione nei confronti dei suoi connazionali diventa qui un melodramma noir teso, doloroso e significativo per come unisce il desiderio e l’orrore, chi eravamo e chi non saremo mai.
Il cinema di Fedorchenko invece abbraccia altri toni, altri respiri e orizzonti narrativi, guarda ai miti e alle fiabe tradizionali dei molti popoli della Russia e stavolta li fa entrare in diretto contatto con la rivoluzione socialista, raccontando i tentativi del potere centrale di educare le periferie ribelli. C’è la leggerezza del sogno, l’operosità fiabesca dell’artigianato, la riflessione immaginifica sulle avanguardie, quasi un Michel Gondry fedele alla linea: ma il dramma e la tragedia della storia non stanno a guardare e Fedorchenko con un tocco da maestro descrive la costruzione dei fantasmi, dei figli dell’orrore nel loro divenire, e tra un film visto con il fumo a fare da tela e un balletto tribale, il sangue sporcherà comunque il candore della neve.