Alla 3^ giornata della 50^ Mostra del Nuovo Cinema di Pesaro, si cominciano a delineare i temi cardine di questa annata del festival. Il viaggio come scoperta di radici e ricordi e l’identità familiare, la riscoperta dei filmini di famiglia, del 16 mm e delle fotografie intime come passi di un’autobiografia artistica. Lo testimoniano in modo evidente tutti i film presentati ieri tra il Teatro Sperimentale e Piazza del Popolo: il Panorama USA, pezzo forte di questa mostra 2014, ha presentato tre lavori che hanno a che fare con il recupero delle immagini “preistoriche” del cinema. RR di James Benning è un sorprendente e incredibile viaggio nelle radici del cinema, come una rilettura de L’arrivo del treno dei Lumière: quasi due ore girate e proiettate in 16 mm di treni che passano nell’inquadratura fissa. La staticità viene però spazzata via da un film che sa riaffermare il valore artistico ed emotivo dell’inquadratura e della prospettiva, della sua costruzione, del suono che cattura e delle immagini che vi finiscono dentro, riflettendo sull’archetipo visivo di tutto l’immaginario americano, il treno e il viaggio: non a caso, al termine di un’inquadratura una radio in sottofondo trasmette This Land Is Your Land di Woody Guthrie.
L’uso della pellicola fuori formato permette anche di riflettere sul tempo e l’invecchiamento dell’immagine, questioni centrali negli altri due film della sezione: Through a Lens Darkly s’ispira al lavoro della fotografa Deborah Willis e partendo dalle foto di famiglia del regista Thomas Allen Harris, riflette sulla storia della fotografia nera e dei fotografi afro-americani e sulla lotta per conquistare il diritto alla creazione di una propria immagine, oltre gli stereotipi bianchi; Our Nixon (di Penny Lane) invece raccoglie i filmini amatoriali dello staff del presidente Richard Nixon – sequestrati per 40 anni a causa dello scandalo Watergate – girati dall’elezione fino alle dimissioni e li monta con interviste ai “registi”, telegiornali di repertorio e intercettazioni telefoniche, per comporre un film intimo e incalzante, ritratto di un presidente dall’interno che ne mostra in modo ancora più limpido la sottile mostruosità, analizzando anche l’importanza politica dei media.
In concorso sono passati due road movie molto sui generis. Il primo è l’indiano Liar’s Dice di Geethu Mohandas, storia della traversata di una donna e della figlia per ritrovare il marito che da 5 mesi non dà più tracce nella caotica Nuova Delhi: neorealismo classico, come da scuola Gautam Ghose o Satyajit Ray, aggiornato al digitale, con qualche ammiccamento facile ma anche belle soluzioni e ottimi interpreti; il secondo è Raìz, del cileno Matìas Rojas Valencia, storia anche qui di un viaggio alla ricerca di un padre, che però preferisce alla semplicità e all’immediatezza dell’indiano, un percorso stilistico minimalista. Che porta il regista a scoprire bravi attori, come l’affascinante protagonista Mercedes Mujica, ma a dimenticare di scovare il cuore del suo racconto, la sostanza che vibri davvero nel rapporto con le immagini e lo spettatore.