Via Gleno riporta Dante sulle scene dopo una brutta vicenda di ‘ndrangheta e mala-giustizia
Innanzitutto Dante, com’è stato ritrovare la musica nel senso più completo del termine dopo le vicissitudini giudiziarie? Come hai mantenuto viva la passione, ma anche la mano nello scrivere e comporre?
Non l’ho mai abbandonata e non mi ha mai abbandonato, per fortuna
In Via Gleno si sente che l’urgenza di raccontare il tuo caso si sposa anche con l’amore per un certo tipo di musica: come hai elaborato i testi e le parti musicali?
I testi li ho scritti in carcere, le melodie nascevano dalle emozioni che provavo, ma non potevo suonarle, io da sempre compongo con la chitarra, ma lì era vietata a causa delle corde di acciaio con cui avrei potuto farmi o fare del male. Immaginavo gli accordi e scrivevo, spesso usavo delle pentole per la ritmica, le capovolgendole e le suonavo con le mani cantandoci sopra.
Sia per l’orizzonte musicale sia per alcuni dei musicisti coinvolti, il disco ricorda molto gli attimi più malinconici o intimi di Vasco Rossi: chi sono le tue fonti d’ispirazioni, in generale e per questo disco in particolare?
Vasco è stato splendido e vorrei ringraziarlo insieme al suo fonico Nick Venieri, per aver dato la disponibilità di mixare i brani nel loro studio. Non mi sono ispirato a nessuno, ho scritto ciò che sentivo e provavo in quei momenti drammatici e terribili, basti pensare che sulla mia testa pesava un’accusa che, se provata, mi avrebbe condannato a 30 anni di carcere.
Al disco è abbinato anche un libro in cui racconti la tua vicenda, come se uno fosse la colonna sonora dell’altro?
Infatti uno è la colonna sonora dell’altro, la colonna sonora della mia vita, sradicata e umiliata da un PM senza coscienza.
La vicenda giudiziaria ancora non è finita: oltre a notare i tempi infiniti della giustizia, cosa ti aspetti e come affronterai l’attesa?
Dura da 11 anni, mi aspetto che l’incubo finisca, affronto l’attesa come sempre, vivendo in sospeso.