I My Bloody Valentine ritornano a Roma dopo 20 anni e sanno come conquistare il proprio pubblico
Che per un’ora e mezza circa prima fatica, poi non riesce a fare i conti con la pessima acustica (e non solo, anche la gestione dei suoni è molto discutibile), poi si riprende dalla ruggine degli anni e infine convince e sconvolge. Il romanticismo decadente, la malinconia sussurrata cavalca le onde di rumori, di noise elettrico ed elettronico, di muri di suono impenetrabili e quasi monumentali tali da giustificare i tappi per le orecchie donati all’ingresso del locale (per chi scrive è la seconda volta, la prima fu coi Manowar). Partono con I Only Said e proseguono quasi in estasi, senza concedere nulla al pubblico, se non la musica e quella presenza così attesa: Kevin Shields sembra un Casaleggio senza malizia, Bilinda Butcher affascina con sorrisi e voce eterei, il batterista Colm Ó Cíosóig tende la corda meglio che su disco, mentre la bassista Debbie Googe gioca a non farsi vedere ma sentire.
Dal nuovo album vengono tratti i pezzi più significativi, senza concedersi alla promozione, perché dopo 20 anni il pubblico vuole sentirti in tutta la tua bravura, vuole che dimostri valore, ma anche capacità di sperimentare. E così il nuovo album accontenta i fan: MBV abbassa le velocità e cadenza i ritmi, gioca più coi loop, distorce al limite della cacofonia senza giungere alla sterile provocazione sonora, e poi scatta in attimi che non sai se di dolce rabbia o viceversa. L’apertura suadente di She Found Now, le dissonanze di Who Sees You, l’apertura quasi pop di New You approdano al trip ritmico magnifico (che avremmo voluto sentire live) di Nothing Is e gli influssi quasi cut ‘n’ paste di Wonder 2, che pare uscire dal Bowie meno usuale.
La furia e l’incandescenza i My Bloody Valentine l’hanno lasciata per il concerto, ed è meglio così: sbagliano attacchi più di una volta, non riescono a capire come usare gli enormi amplificatori e pedaliere con la pessima resa della sala, ma mano a mano che prendono confidenza sanno coinvolgere fino a distruggere. Cigarette in Your Bed, Come In Alone, la superba Thorn e la potenza di Nothing Much to Lose in un crescendo che arriva al tiro rock di Feed Me with Your Kiss che diventa in modo improvviso un viaggio di 10, devastanti minuti all’interno dei feedback, echi, riverberi e quanto altro la fisica sonora può creare con chitarre e amplificatori. Quasi un’installazione sul valore melodico e musicale del rumore. Meno musica più esperienza sonora. Esattamente ciò che si chiede a un concerto dei My Bloody Valentine. A patto di avere una sala come si deve.