Il Cantico di Pietra – Limbo 1
-Hai presente le cose?-
-Le cose?-
-Le cose.-
-E’ un termine parecchio vago…-
-Ecco, nel senso più vago che tu riesca ad immaginare.-
-Ok.-
-Io le faccio accadere. Non importa il tipo, il come, la grandezza.
Io ci riesco.-
-Wow…- fuori nevicava, una cascata che infuriava da giorni sui tetti obliqui e ondulanti di Werchester; i rami degli alberi urbani non potevano che spezzarsi sotto quel nuovo, improvviso peso, facendo sì che solo un gruppo di salici, a ridosso della piazza principale, sopravvivesse incredulo e tremante. Persino le orme dei gatti, segno dell’esercito felino che sorvegliava borghi e tenebre in un onnipresente ordine, erano scomparse; il tempo d’un’alba.
Il freddo era arrivato. E non da solo.
Il brivido da inverno lo riconosci. Eppure lo pizzicava un secondo formicolio, faccenda da mettere sull’attenti tutti i peli del corpo e della mente; lo avvertiva non meno chiaramente di quanto, ora, non notava l’impazienza dell’uomo, che si aspettava una risposta assai più entusiasta alla propria rivelazione; lo accontentò -…deve essere fighissimo…-
-No, ragazzo…l’esatto contrario.-
Il gitano lo fissa, da dietro il bancone del suo negozio itinerante: una grossa carrozza che sembra aver girato mari, terre e cieli d’ogni dove per minimo dieci volte; con una mano accarezza l’alto cappello a cilindro, adagiato sui riccioli arancio vivo, mentre l’altra tamburella nervosa sul tavolo disseminato di cianfrusaglie.
-Hai davanti, ragazzo mio, le porte per ogni sogno tu abbia mai fatto.-
-Che sai dei miei sogni?-
-Abbastanza…e tale è la loro bellezza che potrebbero dartene di migliori…-
-Se sono così belle, perché non ci vai tu? Non hai sogni?-
-Oh, io li ho già visitati. Tutti. Ho visto meraviglie che a malapena entrano nelle dimore degli occhi…-
-E allora che te ne fai dei soldi? Perché perdi tempo così?-
-Noia…curiosità…la gente reagisce in maniera stramba e originale ai propri paradisi, e io mi diverto a prenderne nota…niente più…-
-Quindi non hai visto davvero tutto…-
-Nessuno vede tutto.-
-Ma tu dici di sì quando c’è la gente…-
-La calca vive di parole calde, finite; deve credere che ci sia una fine, uno stop, un freno. Il mondo deve essere messo in tasca.-
-Ed è sbagliato mettere il mondo in una tasca?-
-Hai tasche abbastanza grandi?-
-No….non credo.-
-Allora ti sei risposto da solo…-
-E tu?-
-Io non porto tasche. Mai.-
Il fischio della brezza che urtava i fiocchi espirò a pieni polmoni.
-E la fine non c’è?-
-In tante situazioni no…certe parole proprio non la vogliono: “tutto” è una di queste.-
-Ok, capito. Quindi, visto che ne viene a te più che a me, potresti regalarmi qualcosa…-
Il gitano esplose in una fragorosa risata, sebbene non mosse che la bocca; il resto del corpo rimase compunto, fissato. -E perché no? Cosa vorresti?-
-Questo- indicò un minuscolo diorama, un’ampolla grande quanto un pugno entro cui erano intagliate delle rovine; un uomo giaceva riverso, osservato da un secondo, in piedi ma ferito a morte.
L’uomo glielo consegnò con un gesto brusco, come temesse che potesse cambiare idea. Non fiatò.
-Cosa fa?- azzardò guardando la poca luce del tramonto illuminare il dono.
-Lo scoprirai…ti basti sapere che è il viatico di una storia, un punto di passaggio di tanti flussi…mettere una mano dove finisce la spiaggia e divenire parte dell’oceano…sentire la tentazione di domarlo…o forse è la cera della candela che all’imbrunire il mondo spegne…-
-Grazie…- lo appallottolò nel cappotto, e si rimise il berretto in testa.
-Tienimi informato, mi raccomando ragazzo…-
-Può contarci, Signore…-
E uscì.
Fuori i resti di una pioggia, e il vento ne creò una diversa, di seconda mano dai boccali di foglie, che lo bagnò sfigurandogli i bordi degli occhi.