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L’acustica perfetta: note stonate nella sinfonia

“Non ho mai accettato le bugie di Sara perché non avevo capito il dolore che esprimevano, per me erano sbagliate e basta. Pensavo che esistessero solo le cose giuste e quelle sbagliate, invece c’è dell’altro. Il dolore è insensato. Come l’amore”.

COP_Daria Bignardi_Acustica_perfetta.inddUn uomo superficiale sposa una donna controversa. Un uomo preso da sé e dalla sua musica, ad un certo punto della sua vita, è costretto a fare i conti col malessere della moglie, una donna che non conosce. Arno e Sara stanno insieme da sempre. Si sono incontrati da adolescenti e ritrovati in età adulta, ma ci sono molti anni della vita di Sara che ad Arno risultano sconosciuti. Non si è mai domandato perché sua moglie fosse cambiata. Perché, dopo avergli dato tre figli, ed essersi consacrata a lui, Sara ad certo punto della sua vita non era più la stessa. Aveva intuito qualcosa, si era accorto del suo malessere, ma era andato avanti preso dalla sua vita, dai suoi impegni, dalla sua musica. E Sara? Si era rifugiata nel suo dolore, chiudendosi in sé stessa, sino a decidere di andare via, di abbandonare marito e figli per ritrovare sé stessa.

L’ultima fatica letteraria di Daria Bignardi, “L’acustica perfetta”, edito da Mondadori, è un viaggio d’introspezione di un uomo bambino. Un musicista, innamorato della ragazza che dormiva mentre lui suonava. Era per lui questa l’acustica perfetta. Avere accanto una presenza assente. Un angelo silente di genere femminile che vegliava su di lui. Arno non si era accorto che Sara era una persona, una ragazza fragile, incapace di esternare il dolore. Lui non capiva. Non poteva capire perché non era mai venuto in contatto con la sofferenza, con le pene dell’animo umano, e qualora gli fosse capitato di incontrare il male di vivere se ne era allontanato, infastidito. I matti lo indispettivano.

“Ho sempre creduto che tutto dipenda da noi – quello che proviamo, quello che ci succede. Ho sempre pensato che si potesse deciderlo, di stare bene o male, di essere contenti o scontenti, felici o infelici, di non farsi scalfire dal male(…). I miei genitori si sono sempre impegnati per essere felici. Nel loro modo balordo, mi hanno insegnato che questo è ciò che conta: stare bene, volersi bene, far quel che si vuole. Che il resto viene dopo”.

Dopo la sua scomparsa, Arno si mette sulle tracce della moglie, che, sulle prime, al lettore risulta essere una bimba capricciosa. Ma, nel prosieguo, si tramuta in uno specchio. L’assenza di Sara costringe Arno a guardarsi dentro, ad analizzare la sua vita attraverso le bugie, o meglio le omissioni della moglie, che vede riflessa negli occhi e nei racconti degli altri. Come in “Un karma pesante”, la vicenda è narrata dal protagonista, la scrittura è incalzante, segue il ritmo dei moti di coscienza del narratore, e trascina il lettore in una corsa a perdifiato verso lo svelamento finale. La cruda verità.

Non è difficile capire come andrà a finire e quale sarà il destino di Sara, gli indizi sono ben disseminati all’interno del romanzo e alla fine il cerchio si chiude perfettamente. Eppure all’interno del testo c’è qualche nota stonata: ridondanze, elementi giustapposti, poco approfondimento psicologico. Sembra che l’autrice, nelle ultime pagine, abbia avuto fretta di concludere e non abbia dato il tempo necessario al personaggio principale di prendere coscienza delle cose: nel carteggio con suor Paola o nel corso del dialogo con la dottoressa Migliore, Arno arriva subito al dunque, la suora cerca di dargli un conforto cristiano, parlando poco di Sara ed evadendo i suoi quesiti, e lui, non credente, si accontenta e viene rasserenato e rassicurato dalle belle parole della sorella. Lo stesso accade con il medico, personaggio così carico di sciagure e sofferenze ad hoc da risultare poco credibile.

Il romanzo di Daria Bignardi, impreziosito da citazioni letterarie – interessante in particolare il recupero della figura e dell’opera del poeta Dino Campana messo in relazione con la protagonista femminile – parte con le migliori intenzioni, carica di aspettative il lettore ma, sul più bello, lo delude e lo lascia a bocca asciutta. Giudizio: insoddisfacente.

Vittoria Smaldone

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