Cosa vuol dire “fare downshifting”? Letteralmente “muoversi verso il basso”, più colloquialmente lo si traduce come “scalare le marce, rallentare”. Di fatto è un cambio di vita radicale, non più un’esistenza frenetica basata su carriera e denaro, ma una riappropriazione dei propri spazi, più tempo per sé, per gli affetti, per i piaceri della vita.
Può capitare che si decida di dare un taglio netto col passato come conseguenza di un evento traumatico, il quale induce a riflettere sulle proprie priorità. E’ il caso del protagonista de “La mia vita è un zoo”, Benjamin Mee, giornalista entusiasta che, in seguito alla morte prematura dell’amata moglie, rivoluziona la propria vita e quella dei suoi due figli, a favore di un’avventura – questa volta vissuta in prima persona – su generis: l’acquisto di una casa che, si da il caso, sia anche un zoo…
Inutile dire che Benjamin – interpretato da un Matt Damon sorprendentemente espressivo – oltre a se stesso e all’armonia familiare, ritroverà anche l’amore nel personaggio di Kelly Foster (Scarlett Johansson), responsabile del parco e prima fan del nuovo entusiasta quanto inesperto proprietario.
Seppur la storia abbia un margine di originalità rappresentato innegabilmente dalla location designata per il cambio di vita, di fatto si ripresentano qui tematiche universali, per non dire banali, quali la difficoltà di crescere i figli da solo, in particolare il rapporto conflittuale con il primogenito “colpevole” di uno sguardo troppo simile a quello della compianta mamma, e poi la necessità di superare il lutto, andare avanti e reinventarsi come lavoratore, padre, uomo.
Il film di Cameron Crowe (lo stesso di “Jerry Maguire”) è di fatto un’operazione riuscita di attacco all’emotività dello spettatore, un mix di buoni sentimenti e american dream made in England, che trova lo sprint da commedia solo in qualche fortunata battuta del fratello di Benjamin e che con le toccanti quanto inverosimili argutezze dell’adorabile Rosie, la figlia settenne di Benjamin, raggiunge l’apoteosi dello smielato. Fortunatamente a portare la dose di zuccheri ad un livello ragionevole, è la scelta di non trasformare anche il rapporto Benjamin-Kelly in una canonica storia d’amore tout court; sottesa per gran parte del film, essa è più frutto dei “venti secondi di coraggio” che invertono più di qualche andamento nella storia di ogni personaggio.
Nota di merito inoltre per l’interpretazione della tredicenne Lily, resa dalla talentuosa Elle Fanning che, seppur in un ruolo modesto, dipinge un personaggio amabile e intriso di candore che molto avrebbe da insegnare alla sua generazione.