Ross e la Distopia del Reality in un Film Interessante
The Hunger Games racconta di un paese di un imprecisato futuro sorto dove un tempo c’erano gli Stati Uniti, in cui il governo è gestito attraverso un enorme gioco di sopravvivenza in diretta tv in cui ogni distretto è costretto a sacrificare due ragazzi: tra questi, c’è Katniss, che si propone volontaria per salvare la sorella. Scritto dall’autrice dei romanzi con Billy Ray, il film è science-fiction avventurosa che declina in maniera distopica e decadente i precetti della contemporanea società dello spettacolo (di cui il telefilm 15 Million Merits – della miniserie Black Mirror – è uno dei punti più alti).
Ambientato in un luogo dal significativo nome di Panem (a cui fanno seguito i circenses del motto latino), The Hunger Games – letteralmente i giochi della fame, dato il modo dittatoriale con cui il potere centrale regola i flussi di cibo ai distretti – cerca di analizzare nel contesto e nei limiti di un prodotto young adult (in senso letterario, non nel senso del film di Reitman) la deriva mediatica della morte in diretta e il meccanismo della fama, l’eccesso grottesco di un mondo in cui sponsor e gare a eliminazione sono entrate nel cuore politico di un paese e l’atrofia morale di un posto in cui l’unica ribellione possibile è quella del non guardare più. Per descrivere questo specchio distorto di una realtà che forse è già diversa da quella del 2008 – quando il primo libro fu scritto -, Ross mette in scena un conflitto tra la classe borghese dello show business e la realtà rurale e povera dei concorrenti, arrivando alla grottesca parodia di se stesso.
Nonostante per presa emotiva e narrativa, il film perda non poco nella seconda parte, quando i nuovi gladiatori sono in campo e dovrebbero scontrarsi in possenti scene d’azione, la pellicola di Ross resta interessante e non innocua, come si poteva immaginare da un prodotto per post-adolescenti: la sceneggiatura sa tratteggiare interessanti figure materne in un panorama americano invaso dall’assenza dei padri, le tappe della narrazione fantasy per ragazzi si sposano con una concezione molto più visiva che letteraria e gli elementi sono abbastanza ben gestiti da un regista più bravo che nella media di questi prodotti, più sporco, più diretto. Lungi dall’essere un film “politico”, The Hunger Games sa far entrare la politica nelle pieghe di un giocattolo meglio congegnato nei sotto-testi che nel suo livello primario, ma che rivela come Lenny Kravitz sappia recitare meglio di come canti e conferma il carisma di un’attrice pulsante come Jennifer Lawrence. Che non è una nuova Bella, in un film che fortunatamente non è il nuovo Twilight.