Ferzan Ozpetek e i Suoi Fantasmi fra Passato e Presente
La riconoscibilità è senza dubbio uno dei tratti principali del cinema di Ozpetek, imbevuto di elementi che ciclicamente ritornano sullo schermo in uno schema ben collaudato che però non raramente rischia di far sfociare la resa dei suoi progetti nella ripetitività: con Magnifica Presenza il regista si confronta ancora con il richiamo inquieto e al contempo nostalgico del passato, la cui tangibilità si ripercuote su un presente complicato, dove è difficile trovare il proprio spazio e manifestare la propria persona senza essere inghiottiti dalle frenetiche logiche della contemporaneità.
Pietro Pontechiavello arriva a Roma dalla Sicilia con il sogno di diventare attore, è costretto a condividere l’appartamento con una cugina effervescente e invadente e per guadagnarsi da vivere prepara cornetti con meticolosità da pasticciere: tutto cambia quando finalmente trova una sistemazione dove vivere da solo, una bella villetta antica nel cuore dello storico quartiere Monteverde, ma il giovane non sa che la casa è popolata da una misteriosa compagnia di fantasmi…
La morte non è una tematica estranea al cinema di Ozpetek, che anzi l’ha spesso raccontata o evocata nel corso delle sue riflessioni, rappresentandola sempre come elemento di transizione (e non necessariamente di limitazione) dell’esistenza umana: stavolta il regista turco si spinge oltre, dando forma a un racconto che fa dell’esperienza ultraterrena un’area di condivisione, esemplificando una sorta di “do ut des” fra vivi e trapassati che attraverso il loro incontro crescono e arricchiscono il loro bagaglio emotivo, in un viaggio di formazione decisamente non convenzionale che coinvolge ricordi e aspettative per il futuro.
Dopo La finestra di fronte (che presenta non poche analogie con Magnifica Presenza) irrompe nuovamente lo spettro della Seconda Guerra Mondiale, ma più in generale sembra essere il confronto con la palpabile tensione che serpeggiava costantemente in quegli anni a interessare Ozpetek, che sceglie come sempre di intrecciare tratti drammatici a uno sviluppo da commedia per affrontare la complessità delle interrelazioni fra gli individui. Definito “un elogio della fragilità”, il film si concentra sulla difficoltà dello spogliarsi da tutte le proprie maschere e allo stesso tempo sulle avversità che si parano davanti a chi sceglie di affrontare la vita con ingenuità: Pirandello occhieggia continuamente, non tanto grazie all’acclarata presenza della compagnia teatrale fantasma quanto proprio per la palese citazione filosofica dei Sei personaggi in cerca di autore.
Omaggio al cinema, al teatro e più compiutamente all’essere attori sul palcoscenico ma anche nella vita, Magnifica Presenza è un film irrisoluto, che paga il prezzo della ripetitività e della prevedibilità: un vero peccato, dal momento che soprattutto nella prima parte Ozpetek gioca abbastanza bene le sue carte, mescolando i generi e concedendosi addirittura un divertito ammiccamento alla suspence horrorifica. È nel secondo segmento che la pellicola pare annaspare perdendo la propria direzione, arenandosi per colpa di eccessivi rallentamenti narrativi e una ricerca talvolta non esattamente giustificata verso una suggestione estetico/visiva accattivante ma un po’ troppo esasperata (ne è un chiaro esempio la sequenza sotterranea con la “Badessa”, presenza oracolare strappata da un incubo popolato di piume e lustrini).
Tra surrealismo e virate oniriche, Ozpetek sembra comunque più a suo agio che in passato (per fortuna siamo lontani da Cuore Sacro o dalla rilettura poco ispirata di Un giorno perfetto), complice anche un cast ben diretto sul quale spiccano il sempre bravo Elio Germano e Anna Proclemer, in un ruolo misterioso e sfuggente in bilico fra presente e passato.
La dicotomia fra realtà e finzione, la diversità, la sconfitta e la rivalsa sono solo alcuni degli spunti che arricchiscono una ricetta troppo carica di sapori contrastanti: il regista non cerca di dare risposte esaustive alle domande che si pone, ma non sembra nemmeno avere troppo chiaro il sentiero sul quale instradare il proprio racconto, finendo infine per dare vita a una favola contemporanea che cerca nel grottesco la propria chiave di lettura. Magnifica Presenza ben presto sfugge dal controllo e si trasforma in un’operazione multistrato con qualche problema di ipertrofia, troppo conforme alle consuete dinamiche del suo autore, che paga la tavolozza di impressioni e spunti molto (troppo?) variegata accusandone tutti gli inevitabili contraccolpi.