Jessie Ware, artista unica nel panorama musicale per classe e stile, è da poco tornata con il suo terzo album in studio, dal titolo Glasshouse. Dopo un album di debutto, Devotion, caratterizzato da un suono ermetico e incalzante, e un secondo album, Tough Love, dai toni più fumosi ed elettronici, ecco un disco che esplora strade diverse, riuscendo però a convogliarle tutte in un’unica direzione.
Basti pensare, per esempio, a quanto siano diverse tra loro le due tracce che hanno anticipato l’uscita del disco: Midnight, canzone sorprendente che coccola l’ascoltatore durante la prima strofa con un falsetto da pelle d’oca, e che cambia completamente forma con l’arrivo del ritornello, con una Jessie Ware che (finalmente) tira fuori la voce in tutta la sua potenza; e Selfish Love che ha invece il sapore dell’estate torrida, con una chitarra che strizza l’occhio alla Spagna – tant è che della canzone è stata incisa anche una versione in spagnolo, Egoista. Due canzoni che è difficile porre una al fianco dell’altra, ma che nell’intero racconto dell’album trovano un senso perfetto, in un’omogeneità del sound che però non diventa mai noioso.
I built myself a house of glass:
It took my years to make it:
And I was proud. But now, alas!
Would God someone would break it.
But it looks too magnificent.
No neighbour casts a stone
From where he dwells, in tenement
Or palace of glass, alone.
Edward Thomas
Da questa poesia l’ispirazione per il titolo. Il disco arriva in un periodo particolare per l’artista, da poco diventata madre, che durante il processo creativo ha messo in discussione il lavoro fatto per ripartire da zero e iniziare a parlare di cose a lei vicine: suo marito, suo figlio, la gioia di esser finalmente riuscita a costruire uno spazio sicuro e la conseguente paura di scalfirlo, come si trattasse di una casa di vetro.
Il fil rouge di Glasshouse è la dolcezza che è pasta di ogni traccia del disco, anche quando il mood si fa più drammatico, come nel caso di Thinking about you (And you don’t see me falling, even baby when I’m falling for two), uno dei momenti più intimi di tutto il racconto. Altra parentesi intensa è Hearts: già l’arrangiamento da solo racconta una storia, con suoni che simulano schianti, impatti, rimbalzi: If I could ask a smoking gun, how it feels to hurt someone, I would just ask you. Forse ancora più bella la versione acustica, in cui il brano si spoglia di tutte le sue sovrastrutture, regalando un’interpretazione sentita e toccante.
Con tutte le premesse fatte, quasi inutile dire che la maggior parte dei brani parla d’amore, pensati con l’anima di una lettera scritta alla luce tiepida di un abat-jour. Le situazioni evocate sono quelle con il sapore dell’irreale, del lontano, momenti a cavallo tra realtà e fantasia: l’istante in cui il cielo si mescola al fiume (in True Believers, perla assoluta dell’album, soprattutto nella sua emozionante versione acustica), in cui l’orologio segna le tre di notte (in Stay awake with for me, traccia dalla spiccata sensualità, anche grazie al contributo di una tromba che non domina l’arrangiamento ma si infila tra le note con innata eleganza), in cui presumibilmente dopo una serata in compagnia ci si dirige all’auto con il desiderio di salire in due e continuare a parlare per ancora tante ore (in Alone, brano molto catchy e in rotazione radiofonica in questo momento, che suona come un riassunto di tutto quello che Jessie Ware è, una quintessenza).
Menzione a parte merita Finish what we started, brano che riesce ad unire una produzione potente al calore di una voce che è difficile da dimenticare. Una canzone cantata piano, suggerita, su un tappeto di suoni che fanno galleggiare i pensieri, fino all’arrivo di una trascinante chitarra elettrica che prende per mano l’ascoltatore e lo prepara a un gioco di silenzi e batteria che conferisce al brano una potenza inaspettata.
Insomma, Glasshouse è un album in cui ogni singolo brano ha una sua consistenza precisa, un peso che contribuisce a renderlo uno dei dischi più belli dell’anno. Un mix perfetto di testi semplici, come discorsi estrapolati dalla vita quotidiana, un sound soul, elettronico, a tratti R&B, particolare e che nessuno potrebbe imitare con la stessa credibilità, soprattutto una voce che spazia dal falsetto, all’acuto al racconto con una eleganza inimitabile. Questo è il valore di un’artista come Jessie Ware che, credetemi, non potete farvi scappare.