L’hanno definito come Moonlight (il film che ha vinto l’Oscar per il miglior film) che incontra La La Land. Questioni razziali e di genere mescolate al musical: Saturday Church, opera prima di Damon Cardasis presentata alla Festa del Cinema di Roma (nella sezione Alice nella città), è un musical più o meno, o meglio usa le canzoni e i numeri musicali, non tanto per raccontare personaggi o eventi, ma per sottolineare le percezioni del protagonista: un 14enne nero, da poco orfano, probabilmente gay e con un’inconfessabile passione per i vestiti femminili. La società nera e cristiana non può accettarlo, meno che mai la sua famiglia, così troverà rifugio in un gruppo di transessuali e travestiti che lo porteranno a scoprire la sua personalità.
Ma il vero rifugio nel film sono le canzoni e la musica: grazie al lavoro del compositore e musicista Nathan Larsson, il protagonista riesce a emanciparsi dal suo mondo grigio, dalle incomprensioni e dai soprusi di chi lo circonda, immaginando canzoni, coreografie, attimi di liberazione artistica che suonano come il pop elettronico black che ascolta negli auricolari, dal suo cellulare. Canzoni originali e balli che dovrebbero aggiungere profondità al discorso di Cardasis, donare le sfumature che la sceneggiatura non riesce a dare, incastrata in un percorso che sa di calvario più che di formazione, tutto edulcorato per non turbare troppo le famiglie dei ragazzi LGBT (a cui sembra il film sia rivolto realmente, più che a quegli stessi ragazzi).
I suoni che variano dalla ballata in stile Beyoncé al pezzo dagli echi dubstep sono azzeccati e utili a definire il contesto: ma la regia non sa esaltarli e dialoghi e personaggi sembrano rimandare a una natura didattica più che emotiva, a uno special educativo per la televisione, infotainment commovente più che cinema da festival.