A 20 anni dall’ultimo tentativo, Keith Richards ci riprova in solitaria. Il chitarrista dei Rolling Stones, tra i padri del chitarrismo moderno, si affranca dai monumentali compagni di strada e cerca un attimo di relax: Crosseyed Heart – prosecutore di quel Main Offender datato 1992 – è come un rifugio di montagna, una baita calda in cui tutte le passioni e le influenze musicali del nostro prendono forma senza le enfasi e gli affanni di una band come gli Stones, in cui suonare con gli amici e citarli, come accade in Robbed Blind, che orecchia compiaciuta a Eric Clapton e al classico Wonderful Tonight. Crosseyed Heart non chiede nessun guizzo tanto all’esecutore quanto all’ascoltatore, non colpi di genio o sorprese, ma promette (e mantiene) poco meno di un’ora di classe e solido mestiere, 15 brani di soul e blues bianchi, di rock ‘n’ roll fatto di anima antica, di suoni caldi, di fumo e alcool ormai divenuti vicini di casa.
Lanciato dal singolo Trouble, in cui Richards, canta, suona tutte le parti di chitarra, ma anche il basso, Crosseyed Heart è l’album di un uomo che dopo 60 di turbolenze continue e ininterrotte ha deciso di calmarsi, giocando con sé stesso, con il suo personaggio e anche con la sua musica, passando le fonti d’ispirazione sonora che lo hanno condotto sano (quasi) e salvo nei decenni: il rock’n’roll battente e classicissimo di Heartstopper in cui suonano echi di David Bowie, Nothing on Me, semi-ballata di chiara ispirazione stonesiana con i toni bassi di Richards a dare preziosità al tutto, Something for Nothing dai cori gospel a sottolineare la vicinanza con la musica nera che ha sempre percorso sotterraneamente la musica di Richards, Illusion, dove la voce di Norah Jones è un balsamo per anima e orecchie e Lover’s Plea, romanticamente segnata dalla tromba di Bobby Keys, che ricorda la musica di Otis Redding. E poi il reggae, il blues e tutto il pantheon degli Stones che la voce calma e soffice nella sua rochezza rende quasi carezzovele, a differenza del nervosismo scattante di Jagger. Crosseyed Heart è così una dichiarazione d’indipendenza ma anche un cordone ombelicale: perché dopo tutto questo tempo puoi anche avere voglia di startene solo, ma non puoi non pensare al luogo da cui vuoi scappare.