E’ andato in scena ieri, presso la splendida cornice della Cavea dell’Auditorium Parco della Musica di Roma, il Gala “Evolution” prodotto e distribuito da International Music and Arts e presentato da Daniele Cipriani Entertainment, in collaborazione con Fondazione Musica per Roma e con il sostegno di Invitalia. Stella indiscussa della serata, l’acclamata étoile internazionale Alessandra Ferri, la quale torna a calcare il palcoscenico dopo 8 lunghi anni di assenza.
Un’ assenza dunque che si fa “evoluzione”, consapevolezza di un dono, della propria rinnovata capacità di farsi arte e di darsi a un pubblico che, in verità, ci sarebbe piaciuto vedere più numeroso. In conferenza stampa la Ferri aveva dichiarato: “Oggi mi sento libera di sperimentare e vivere il talento che mi è stato donato. Il talento è la fiamma che spinge ad un coraggio che può anche essere illogico, folle. È la capacità di ascoltarsi, la voglia di andare oltre i limiti. Limiti che mutano con te e con il tempo. Quando è il momento, il talento ti fa muovere senza alcun programma e ti induce a vivere il presente“. E’ il punto di partenza di un percorso iniziato su quel palco ieri sera e che la vedrà protagonista per molto tempo, ne siamo sicuri. Oggi possiamo ritrovarla ancora perfetta, ancora autenticamente lei, con l’algida eleganza che l’ha sempre contraddistinta in un calmierato passaggio da ciò che era e ciò che potrebbe essere, ben scandito nella sequela di pezzi messi in scena.
La vediamo infatti, accanto all’altrettanto atteso Herman Cornejo, talento argentino, oggi Principal Dancer presso l’American Ballet Theatre, misurarsi con un pas des deux classico di Frederick Ashton su musiche di Rachmaninoff, ed è come un tuffo nel passato: le linee armoniche che l’hanno resa celebre ancora intatte, così come espressività e bellezza. Una coreografia non particolarmente densa di virtuosismi, che però sa mettere in luce anche l’indole accentratrice di Cornejo.
Lei la vedremo poi accanto a Craig Hall in After The Rain di Christopher Wheeldon su musiche di Arvo Part. Dal nostro punto di vista la sua performance migliore, in un pezzo che la rappresenta pienamente e con un partner in simbiosi con la sua danzatrice, in un connubio perfetto tra la tecnica e quella ricerca di liberazione tanto evocata nelle sue dichiarazioni.
E’ forse per questa magia ancora negli occhi che, al suo rientro in scena con Cornejo in Sinatra Suite su coreografia di Twyla Tharp, qualcosa appare distorto: è una Ferri più contratta e meno a proprio agio di come poi la ritroveremo ne Le Parc su coreografia di Angelin Prejocaj.
Ad intervallarsi con la musa di molti dei più grandi coreografi esistenti, il duetto Tobin Del Cuore/Craig Hall nella coreografia dalle atmosfere lunari di Lar Lubovitch; l’assolo psichedelico di Daniel Proietto su musica di Nina Simone (decisamente meno brillante rispetto a tutte le altre rappresentazioni); ancora un assolo, questa volta ad opera di Tobin Del Cuore, A Mariner, dinamico e prezioso. Ma la nota di merito va a due “trii”: quello di Aszure Barton, danzato da Jonathan Alsberry, William Briscoe e Jeremy Jae Neal, meravigliosi nella loro capacità di ricercare un unicum di movimento mantenendo ognuno la propria cifra stilistica; e Johnny McMillan, Jonathan Fredrickson e ancora Tobin Del Cuore in Pacopepepluto di Alejandro Cerrudo, un trionfo di dinamicità e conquista dello spazio circostante.
E’ una stella fra le stelle dunque, Alessandra Ferri, in un ritorno che ci auguriamo durevole (e tutto ci fa pensare che sia così) e che ci racconta di come semplicemente sia la capacità di rinnovarsi sempre, il cuore pulsante di un vero talento.
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