Famoso per gli sguardi epici e naturali di film come L’orso, Sette anni in Tibet e La guerra del fuoco, Jean-Jacques Annaud sbaglia mira con L’ultimo lupo, nuova produzione kolossal del regista girata interamente in Mongolia. Tratto da un famosissimo romanzo cinese, L’ultimo lupo racconta di un ragazzo mandato dalla città nelle campagne mongole per insegnare ai paesani a leggere e scrivere: sarà lui ad apprendere la legge della prateria, soprattutto il rapporto con i lupi.
Scritto da Annaud con John Collee, L’ultimo lupo punta all’avventura vecchio stile, con tocchi western, fatta di paesaggi, natura, pericoli e corse a perdifiato nelle praterie: ma Annaud pare aver perso la mano e soprattutto l’occhio, imbruttito da troppe, pessime immagini digitali che uccidono il senso e il respiro dell’azione, che sprecano le belle riprese (la corsa tra lupi e cavalli dall’alto) e i panorami affascinanti. Un film dal ritmo sfilacciato, dalle fiacche sottotrame; e per un inno alla natura, la descrizione dei lupi come branco mostruoso, diabolico, da film horror, pare del tutto fuori luogo.
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