Forse, almeno nelle intenzioni, il documentario definitivo su Kurt Cobain, leader dei Nirvana, di cui l’anno scorso si è celebrato il 20° anniversario del suicidio. Brett Morgen è riuscito a ottenere da Courtney Love e dalla figlia Frances Bean (anche produttrice esecutiva) il permesso per utilizzare l’archivio privato del cantante: una messe incredibile di video, quaderni, disegni, appunti, registrazioni, pubbliche e private, personali e artistiche. Ne è uscito fuori Cobain (Montage of Heck), presentato in anteprima al Bif&st di Bari e in sala il 26 e il 27 marzo, documentario che mettendo insieme interviste ad amici e familiari, animazioni e ricostruzioni disegnate, materiali di varissima natura per cercare di restituire il ritratto di un uomo, di un genio, di un essere fragile che ha reso arte i propri limiti pagandone poi pegno.
Un lavoro encomiabile dal punto di vista realizzativo e artistico, la titanica impresa di dare forme e vite a uno zibaldone immenso di un artista iperattivo, in cui l’abrasiva musica dei Nirvana è solo una parte del discorso, anche se quella più diretta e comunicativa. Il punto debole è che dal lavoro di Morgen – in vero troppo lungo e quindi un po’ ripetitivo – non emerge nessuna visione nuova, diversa o sconvolgente del fenomeno Cobain, né una visione dell’artista che superi lo schema del genio maledetto (il film si apre con la sorella di Cobain che afferma “Meglio non essere un genio”). Però è un prodotto di tutto rispetto, probabilmente pensato per i fan, soprattutto quelli che nel ’94 vissero in prima persona il crollo del dio grunge.