La questione è molto più sottile della semplice esistenza della verità: non esiste. Lo sappiamo dalla filosofia e quindi anche dal cinema. Il punto è un altro: la ricerca e la costruzione della verità passano sempre dall’esistenza e dallo svelamento di una storia. Provano a testimoniarlo due film presentati al festival di Roma che riflettono in modo opposto sullo storytelling, Biagio di Pasquale Scimeca e Nightcrawler di Dan Gilroy.
Biagio si struttura per intero sulla scoperta di una storia, quella di Fra Biagio, novello san Francesco che lascia casa e averi, si dedica all’eremitaggio e poi al pellegrinaggio verso Assisi. Quando la luce divina lo riempie capisce la sua vocazione nell’aiuto dei poveri e crea una comunità di aiuto per senza tetto e profughi. Marcello Mazzarella, protagonista del film, conosce Biagio in tv e comincia a fare ricerche, a incontrarlo, a parlargli e a convincerlo che il film che vuole realizzare, che ha già portato alla Film Commission (la stessa che gli causerà ritardi per i quali i film non era alla Mostra di Venezia), non è un peccato d’orgoglio, ma un atto necessario. E su questa rivelazione si fonda un film che segue la lezione didattica dell’ultimo Rossellini.
Ma le storie possono anche non esistere, come direbbe Maccio Capatonda. E in quel caso si inventano, si mettono in scena, magari a partire da un’immagine: è l’imperativo del cinema, ma ancora più della tv, soprattutto quella degli sciacalli di cui Jake Gyllenhall è il simbolo. Quelli che prima della notizia, della storia, hanno a cuore il potere sociale ed economico dell’immagine, che studiano la forza endemica dell’inquadratura giusta e sanno quale è il legame con il capitalismo contemporaneo, quello che lega gli squali e gli sciacalli. Non dice niente che non sia stato raccontato negliultimi 50 anni, Nightcrawler, ma sa inquadrare il contesto giusto per renderlo vincente. Come il suo protagonista ha il senso per l’immagine sanguinosa.