Andrew Niccol è regista che cavalca i tempi, analizzandone gli umori e spesso anticipandone le possibili implicazioni, sia che parli delle opzioni dell’ingegneria genetica (Gattaca e In Time), della realtà virtuale (S1m0ne) e di traffico di armi (Lord of War). I suoi film godono di atmosfere perturbanti, personaggi conflittuali e tematiche forti.
Le politiche del governo degli Stati Uniti sono viste con occhio critico in Good Kill – soprattutto il coinvolgimento della CIA in missioni militari – film di Niccol, che ripropone un abbondanza di foraggi editoriali e cibo per il pensiero provocatorio.
Ogni “GoodKill”, colpo pulito eseguito da remoto, , costa $ 68.000 dollari dei contribuenti. Il film riconosce che l’Air Force Americana abbia investito ingenti somme sugli aerei computerizzati, superando in numero gli aeromobili con equipaggio.
E’ proprio la figura del drone, che consente a “Good Kill” di assumere, superficialmente, una duplice valenza, allo stesso tempo un film di combattimento e un film di guerra(at-home), due ceppi familiari di un dramma militare.
Il protagonista è un ex pilota di aerei che si trova in un container nei pressi di Las Vegas e comanda i droni utilizzati dal governo degli Stati Uniti per dare la caccia ai talebani. Il film parte bene, ma inevitabilmente in presenza di uno snodo della diegesi, subentra un’ambiguità narrativa che sfocia poi nella retorica. Lui, infatti, si sente in colpa, un vigliacco, vorrebbe tornare a pilotare aerei e a scendere in prima linea. Lo stato depressivo in cui cade si riflette anche nell’armonia familiare in cui era più presente, a livello di intensità, quando lo era meno fisicamente.
Peccato che tutto ciò coincida con un messaggio, per nulla velato ma gridato forte e chiaro, in cui la guerra va bene se è giusta e quella giusta è quella contro i cattivi, categoria definita semplicemente con un equazione: “loro ci uccidono, quindi noi uccidiamo loro” solo che nel film lo strumento è un joystick e un monitor.
La guerra secondo Niccol sembra limitarsi ad una mera differenza tra farla in prima linea o da remoto, annullando qualsivoglia tentativo di ricerca contenutistica approfondita.