Ermi colli e Silvie che rimembrano. Per noi Leopardi è quello. Per fortuna, per qualcun altro il più importante poeta moderno italiano è molto altro. Ha bloccato il Lido il film italiano più atteso dell’anno, Il giovane favoloso di Mario Martone, che ha entusiasmato molti e lasciato freddi alcuni (se volete sapere il nostro parere, in arrivo un articolo pro-contro). Dove però Martone ha trovato la chiave giusta per affrontare lo scomodo pantano del biopic è nel farne un film sull’oggi, o meglio sulla morte del dibattito culturale dell’Italia contemporanea.
Oltre a raccontarne il tormento interiore che partorisce poi il lavoro poetico di Leopardi, Martone mette a confronto continuamente il poeta con le persone intellettuali del suo tempo facendone lo specchio della figura dell’intellettuale in Italia e delle temperie in cui quella figura è via via sempre più lasciata sola, allo sbaraglio. Certo Martone, identificandosi in Leopardi, gioca facilmente la parte dell’artista che si scontra contro la lettura altrui della sua opera. Ma nel Giovane favoloso c’è lo specchio della condizione artistica del Bel Paese.
In due scene chiave, Leopardi (Elio Germano) affronta discussioni sulle Operette morali prima con la giuria di un premio letterario e poi con due lettori al bar: ne viene fuori un ritratto sottilmente feroce ma non di meno lucido di chi è e com’è il critico oggi in Italia, o ancora di più l’intellettuale. Una persona che giudica, che non pensa, che lavora all’interno delle strutture di pensiero consolidate per non dire di potere, delle comodità sociali e culturali, un integrato 24 ore al giorno in cui le norme, le abitudini sono l’unico faro teorico a cui appigliarsi.
Chi frequenta per lavoro l’ambiente intellettuale (molto presunto tale), come chi scrive, riconosce quelle parole, quelle attitudini, e le vive con sconforto come accade sempre più spesso nei festival, quei luoghi in cui, a fronte di scoperte artistiche prodigiose e confronti illuminanti, si scopre un guano in cui le intelligenze del paese sguazzano e sguazzeranno per i prossimi 20 anni, almeno. Nessuno crede più che il critico e l’intellettuale siano figure importanti, perché – relegato nel novero delle opinioni – il loro lavoro può farlo chiunque. Fa bene perciò Leopardi a rinchiudersi in sé stesso e nella propria mente. E Martone a trasfigurare il film in una ricerca di sé, dentro sé, visionaria e filmica, con La ginestra che racchiude un pensiero ma soprattutto un modo di intendere l’arte. Ché alla volgarità e all’orrore, non c’è altra risposta che la bellezza e la sua ricerca.