Ma cosa succede quando i loro 15 minuti sono scaduti?
Il fallimento improvvisamente può trasformare ex mega–celebrità in un essere umano umile che può fare caffè da Starbucks?
La risposta è mal celata in questa espressione facciale, che veicola tutta la frustrazione e straniamento di una ex-star che proprio non ci sta a dover vivere, soffrire, passare inosservato, faticare, non sentire più gli applausi.
Questo è il problema di Michael Keaton in questo selvaggiamente divertente, stranamente dolce, triste e assolutamente brillante commedia scritta dal regista Alejandro González Iñárritu, meglio conosciuto per la sua cupa “state-of-the drammi del mondo” ampiamente espressa nei suoi 2 capolavori ‘Babel’ e ’21 Grammi ‘.
Keaton è Riggan Thomson, un attore che ha rastrellato contanti nei primi anni 1990 come attore di un blockbuster. Un franchise Pre–‘Avengers“ campione d’incassi. Il protagonista sta cercando di reinventare se stesso per un “secondo atto” da artista serio, scrivere, dirigere e recitare in un adattamento di un racconto di Raymond Carver a Broadway.
Sappiamo che Iñárritu ha un lato oscuro (basta guardare i suoi film precedenti come ‘Amores Perros‘ e ‘Babel’), e non è del tutto nascosto in questo film. La vita è deludente, (il filmapre con una citazione Carver, ‘Hai avuto quello che volevi dalla vita?’),questo il motto di Birdman.
PENSIERI PERSONALI:
Immaginiamo, per un istante che un sistema applicato all’arte, riesca a commercializzare e a creare un market place da milioni di dollari dove POLITICA, ARTE, FINANZA, BRAND, PUBBLICITA’ collaborino ordinatamente per sfornare dei PRODOTTI di intrattenimento da proiettare in grandi arene, così da mandare i Gladiatori in pensione.
Immaginiamo che questo SISTEMA, generi o dia vita, ad una generazione di esseri umani stralunati, fuori dalle logiche della società, che per qualche DONO divino, per ogni espressione/vocalizzo/monologo/azione fisica registrata da un potente macchinario creato ad hoc per questo SISTEMA, corrispondano milioni di dollari. Immaginiamo poi che questi milioni di dollari si mettano prepotentemente tra la vita precedente di questi esseri e la vita che inizieranno a conoscere dopo la prima registrazione e trasmissione verso il pubblico.
Prendiamo adesso 6 miliardi di persone che adoreranno questi esseri, ne sguiranno le avventure/disavventure, si convinceranno di conoscerli, di comprenderli e perchè no, di esserne talvolta amici.
Mettiamo a corredo un MINISISTEMA,un virus matrixiano, autogeneratosi per “infliggire” o quanto meno tentare di infliggere dolore verso questi eletti, e diamogli come nome CRITICA GIORNALISTICA. Immaginiamo che questa CG possa arbitrariamente e, a volte senza competenze, giudicare pubblicamente qualsiasi PRODOTTO creato.
Se tutto questo sistema esistesse davvero, riuscirei facilmente a comprendere come quei pochi “esseri eletti” si potrebbero sentire se da un momento all’altro tutto ciò dovesse svanire.
No more: soldi, amici, pubblico, agiatezza, nullafacenza, solitudine.
Immaginate se la fine di tutto questo, prevedesse oltremodo un doversi: muovere, compiere azioni, trovarsi un lavoro, interagire con esseri umani fino ad allora ritenuti inferiori, preoccuparsi del domani, aver paura di non riconoscere se stessi.
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Questo film rende giustizia reale a questa idea: è abbagliante e sconnesso, intimo e tentacolare, ed è trasportato da un contagioso indice puntato contro lo Star System, la Critica giornalistica insensata e i blockbuster.
Innarritù si diverte a fare terra bruciata attorno ad una società omologata, digitale, superficiale e qualche volta gratuitamente violenta, puntando l’attenzione verso uno di quei MEZZI culturali che potrebbe impegnare le propri abilità ed energie creando strumenti di comuncazione di massa ricchi di contenuto, a sfavore di quei frammenti di intelligenza che a volte il cinema trasforma in FILM.