Il cinema è in crisi, la musica è in crisi e nessuno si sente più tanto bene. Allora, cosa c’è di meglio del mal comune mezzo gaudio? Così i suoni dei compositori vanno a sostituirsi alle immagini, sperando che queste ultime possano dare una scossa al lavoro dei musicisti. E non si parla di Bono Vox che cede le sue canzoni per le serie tv, ma di compositori che occupano militarmente un film o il cinema. Per esempio, Quentin Dupieux avrebbe, o aveva, una carriera da dj: è noto come Mr. Oizo, ha creato la scena elettronica francese con Flat Beat e remixato Cassius, Scissors Sisters e Kavinsky. Però dal 2007 fa cinema, o meglio “non-film”, dal titolo del suo secondo lungometraggio. E a Venezia, con Réalité cerca di far convivere il nonsense estremo e ironico del suo cinema con una voglia di messinscena lynchiana. Poi, nel film, la musica si limita a un brano per tastiera in cui due note si ripetono ad libitum, ma l’invasione di campo è compiuta.
Ci sono altri due film che spudoratamente si reggono sull’invasione dei loro compositori. Uno è La rançon de la gloire, di Xavier Beauvois, che delega al grandioso Michel Legrand – compositore storico della Nouvelle vague, vincitore di due premi Oscar – il compito di creare emozione nello spettatore, attraverso una partitura che guarda al cinema degli anni ’50 e ’60, fatta di maestose ouverture sinfoniche e riletture jazz che devono dare nerbo a un film che ne ha poco, dare patina e sostanza a un film che invece pare andare da un’altra parte. Fa piacere risentirlo, ma a volte le immagini cozzano, o svaniscono. Al contrario di Birdman, che si sviluppa e costruisce invece sui folli e folgoranti assoli di batteria di Antonio Sànchez (batterista messicano del Pat Metheny Group), il quale usa le improvvisazioni del free jazz per condurre il ritmo degli attori, il movimento della macchina da presa, intervenendo persino dentro le inquadrature con strappi surreali.
L’opposto di come i canti di The Look of Silence segnino l’emozione, ma ne parleremo domani.