Se non sei messicano non apri Venezia, pare dirci Alberto Barbera, direttore artistico della Mostra che parte oggi con Birdman, nuovo film di Alejandro Gonzales Inarritu, secondo messicano consecutivo dopo il Cuaròn di Gravity. Ma ci dice anche che non sei un bravo regista messicano se non ti sdilinquisci con un piano sequenza.
Per chi non lo sapesse, il piano sequenza è quando si racchiude un’intera sequenza narrativa, un’intera azione, in una sola inquadratura senza stacchi di montaggio: può essere fisso o in movimento (come all’inizio di L’infernale Quinlan). Gravity parte con 17 minuti che fluttuano intorno a Sandra Bullock e George Clooney e alla loro riparazione di un satellite nel vuoto. Birdman “comincia” con 100 minuti dentro il teatro in cui il personaggio di Michael Keaton (quasi autobiografico) cerca di riscattarsi dopo una carriera da divo di blockbuster dimostrando di essere un bravo attore teatrale. In pratica, tutto il film simula – grazie all’aiuto del digitale – una sola inquadratura che segue personaggi e luoghi. Tutto il film in due sole inquadrature,più qualche flash.
Ci si chiede sempre di fronte a una dimostrazione di bravura e virtuosismo del genere, o almeno chi scrive se lo chiede, perché scegliere questa via, che senso abbia nella comunicazione con lo spettatore e nell’economia linguistica di un film. Forse nessun senso che non sia l’estetica pura, la voglia di stupire di ammaliare l’occhio dello spettatore. Nulla di male in sé, forse. Ma allora non c’è molta differenza con la “pornografia apocalittica” dei kolossal fantasy e di fantascienza di cui il film si prende gioco (definizione contenuta nel film e azzeccatissima). Il piano sequenza non dovrebbe muoversi in un mondo che l’autore ha preparato, precostituito, ma dare l’impressione che quel mondo esista già, a cui non servono trucchi per dare l’impressione del flusso, ma comunicare con quel flusso. Come fa Garrone in Gomorra e soprattutto Reality, come fa German in Hard to be a God. O Hitchcock o Sokurov. Un movimento di macchina in un mondo, non un mondo in un movimento. In attesa di Venezia 72, con Guillermo Del Toro. In piano sequenza.