La parola genio, nel cinema o altrove è abusata. Ma se a 25 anni hai diretto 5 film uno più bello dell’altro, forse, non è una parola buttata al vento. Xavier Dolan arriva a Cannes 2014 con Mommy (dopo aver sorpresa Venezia con Tom à la ferme), forse il film più bello visto sulla Croisette, che racconta la storia di una famiglia in difficoltà, perché la mamma ha un lavoro molto precario e il figlio soffre di un’iperattività che lo rende molto violento. Ad aiutarli, una vicina di casa con un trauma segreto. Ma forse non basterà.
Sebbene dalla storia, scritta dallo stesso Dolan, possa apparire un dramedy anni ’90, banale e lacrimevole, il regista prende la materia narrativa – e la musica di quegli anni – e la trasforma in grande cinema, capace di parlare di psiche, affetti e ricordi con forza emotiva e soprattutto cinematografica: la capacità di Dolan di creare suggestioni, di andare oltre il grado zero, nasce dalle immagini, dallo stile, persino dall’inquadratura intesa come atomo del cinema: il formato 1:1, quello quadrato del cinema delle origini, diventa la gabbia da cui solo il sogno e l’arte possono liberarci, aprendo lo schermo a 16:9. Mescolando violenza e amore, tenerezza e oscurità, tracce di orrore e zucchero, Dolan sceglie il cinema e la sua lingua per parlare alle persone, per sorprenderle, per abbracciarle. Essendone spesso ripagato.