A ridosso di pochissimo tempo dall’uscita di Yves Saint Laurent, un altro biopic racconta la vita, le opere e gli amori dello stilista francese: poco creativamente, il regista Betrtrand Bonello toglie il nome e lascia solo il cognome e va in concorso a Cannes 2014. Il film si concentra sul periodo tra la fine degli anni ’60 e la metà dei ’70, quello di massimo fulgore creativo e di virulenta crisi personale, per raccontare l’amore con Pierre Bergé, i rapporti occasionali, le droghe e gli abusi, la disperazione dietro i successi.
Insomma tutto il lato scandalistico della storia di Saint Laurent nella sceneggiatura di Tomas Bidegain, che ha approfittato dal mancato via libera della maison parigina per abbondare in cliché e sensazionalismi, ai quali Bonello cerca di porre rimedio con una regia stilizzata, raffinatissima, qua e là interessante, dimenticando però di raccontare sia l’uomo Saint Laurent sia l’artista, entrambi coperti dal personaggio mediatico. Si perde però l’interesse per il soggetto in sé e Bonello dimentica, nonostante la bravura del protagonista Gaspard Ulliel, che un accessorio sfavillante non potrà mai far dimenticare un abito male imbastito.