Il primo film accolto da fischi a Cannes 2014 è The Captive, thriller di Atom Egoyan con Ryan Reynolds. A torto, forse perché il problema del film è di essere un thriller puro, per qualcuno poco adatto alla Croisette. The Captive racconta di una famiglia distrutta dalla sparizione della figlia: per quasi dieci anni madre e, soprattutto, padre (Reynolds, appunto) non si sono dati pace, aiutati da un’equipe specializzata. Che comincia a sospettare che la piccola sia viva e in mano a una rete di pedofili. Scritto da David Fraser, The Captive parte come dramma familiare con venature alla Twin Peaks, ma poi si lascia andare in un girotondo di copi di scena anche sfrenati, sulla scia di De Palma.
Certo, la sceneggiatura non è all’altezza dell‘Egoyan migliore, con tipologie da serie tv, svolte narrative surreali e facili, colpi alla sospensione d’incredulità, ma regia e narrazione lo sono, grazie a una capacità di raccontare matura, che si muove fluida tra linee e piani temporali, che semina indizi e raccoglie suspense giocando, come il pedofilo con la madre, al gatto e topo con lo spettatore. Reynolds convince ed Egoyan pure, ma forse il contenitore cannense, che privilegia approcci differenti, ha avuto la meglio sul contenuto.