Che sia il più grande documentarista vivente pare pacifico. Che Frederick Wiseman però, a più di 80 anni, continui a sfornare grandi opere a getto continuo un po’ meno. Così dopo La danse, Crazy Horse o At Berkeley, Wiseman racconta dal di dentro la National Gallery, con lo stesso metodo di sempre: entrare nei luoghi dove si decidono le sorti di un’istituzione, osservare, non intervenire né commentare mai, mostrando i meccanismi decisionali prima e il lavoro concreto poi intorno al famoso museo londinese, tra i più grandi del mondo.
Mostrando quasi in parallelo le riunioni del consiglio di amministrazione in cui si decidono le attività e si risolvono i problemi organizzativi ed economici e il lavoro delle guide nel raccontare ai bambini o ai disabili, la preparazione delle opere da parte dei curatori e le esposizioni vere e proprie, National Gallery mette in mostra cosa rappresenta l’arte in questo preciso momento storico e socio-culturale, come poterla salvare e comunicare al mondo, rendendo cruciale la questione dell’opera come racconto e messinscena (bellissime le discussioni sulle cornici, le luci, i riflessi), facendo di riflesso quindi anche un film sul cinema, la cui condizione si specchia in quella dell’arte tout court. E il finale, con i due ballerini che danzano tra i dipinti del museo, fonde non solo le varie anime dell’arte, ma i vari elementi del cinema (immagine, movimento, dettaglio sonoro, musica) e il percorso di Wiseman da qualche anno a questa parte. In uscita a giugno con I Wonder.