Farsi strada nel rock italiano degli anni ’10, con i grandi nomi che non lasciano spazio e un’industria che fatica a recepire le novità, deve essere impresa molto ardua. I romani Koo, con l’ep d’esordio Marea, scelgono la via meno battuta forse: la semplicità di approccio. Rock senza fronzoli e arzigogoli, chitarre, basso e batteria, cantato in italiano limpido e testi più oscuri, struttura solida, magari senza sorprese.
Marea, come ogni preludio che si rispetti – all’album in lavorazione, parte del quale è stato presentato live al Lanificio 159 di Roma – deve mostrare le carte della band e non può farlo che partendo dalle basi, le canzoni. Belle o brutte devono essere l’unico biglietto da visito: è questo il rischio.
Apre il disco Piove soltanto, che dà all’ascoltatore il senso di una band che punta sui chiaroscuri, su suoni suadenti e cantato più ampio, ma il resto dei brani arricchisce, o smentisce, l’impressione: Fosse sabbia punta dalla partenza sul ritmo con un andamento molto moderno, la title track sembra un omaggio al rock alternativo degli anni ’90 con il giro di basso e le chitarre intrise di malinconia e rabbia repressa, mentre Un altro giro, singolo di lancio, ha il piglio giusto tanto per le radio quanto per il coro dal vivo.
Forse i Koo hanno voluto giocare sul sicuro, su tutta la linea, e l’effetto già sentito filtra qua e là tra le tracce di Marea, ma il gruppo mostra un approccio secco e abbastanza solido, forse troppo: il timore infatti è che i margini per un’evoluzione sulla lunga distanza siano limitati. L’augurio è che i Koo sappiano spazzare via questo timore.