A stare dietro ai problemi e alle difficoltà produttive e di montaggio che hanno travagliato 47 Ronin, versione di Carl Rinsch della più tradizionale leggenda giapponese (già portata sullo schermo da Mizogouchi), si farebbe un altro film, ma servirebbe anche a capire la natura bislacca del film, basti pensare che sulla locandina compare un personaggio che non c’è nella versione definitiva del film. La storia è quella di Kai, mezzosangue emarginato che decide di unirsi ad un gruppo di rōnin, comandato da Kuranosuke Oishi, che cercano vendetta su Lord Kira dopo che questi ha ucciso il loro signore e bandito il gruppo. Per restituire l’onore al loro feudo e al loro signore, i guerrieri si troveranno ad affrontare delle dure prove, che porteranno alla sconfitta di numerosi guerrieri.
Scritto da Chris Morgan, Walter Hamada e Hossein Amini, 47 ronin mescola in modo disinvolto la tradizione nipponica del chanbara, le avventure dei samurai a basi di duelli e combattimenti, e il fantasy milionario americano, fatto di creature mostruose e magia, frullando Kurosawa e Peter Jackson. Il risultato farà storcere di sicuro molti nasi, il potenziale epico della storia o la bizzarria degli incroci geografici restano un po’ sulla carta, proprio per via di esigenze produttive che hanno portato a vari rinvii nell’uscita, eppure Rinsch sa creare scorci suggestivi, soprattutto quando guarda al cinema nipponico, e non ha paura del finale meno facile o comodo. E rivedere Keanu Reeves in un ruolo da protagonista per una produzione importante (di recente ha anche girato un suo film, Man of Tai Chi), non può che far piacere.