Dopo un album straordinario come Wrecking Ball e un tour massacrante, il Boss Springsteen sfrutta gli attimi per ricaricare. E mentre ricarica realizza High Hopes, un disco patchwork, di tagli e ritagli, di outtakes, canzoni scartate o suonate solamente live, di cover e classici suonati di nuovo. Un passatempo. Ma un passatempo di classe, che segna anche il definitivo ingresso nella E-Street Band, perlomeno come membro onorario, di Tom Morello, geniale chitarrista ex-Rage Against the Machine che accompagna il Boss da qualche tempo nei concerti e ora fa il suo ingresso in un album.
Ed è un ingresso per niente cauto e silenziosa, dato che la sua chitarra sferraglia, inventa, percorre come fiume carsico la musica di Springsteen, che prende il repertorio live del suo 21° secolo lo amalgama sulla sua contemporaneità, suonando, scoprendo, riarrangiando. Certo, si può storcere di fronte a un’operazione palesemente ludica, un riempitivo tra una data e l’altra. Eppure affiorano attimi di musica pura e limpida, firmata dal Boss o da artisti misconosciuti come The Havalinas, The Saints o Suicide.
Il primo singolo e title track del disco è posto in apertura, con ritmiche vagamente centro-americane, fiati in bella vista, quasi una versione New Jersey dei Mescaleros di Joe Strummer, ad aprire le danze di un disco composito per suoni e fonti: American Skin – incisa a partire da un fatto di cronaca sul mitico Live in New York che segnò il ritorno della E-Street Band – è una cupa ballata sferzata dall’elettrica di Morello, Just Like Fire Would è solare rock americano, di quelli che fa stare bene al solo pensiero, Down in the Hole è il lato intimista di Springsteen, mentre The Ghost of Tom Joad, dalla dolente disillusione della versione su disco, pesca l’epicità rock di Morello e diventano una nuova grandiosa versione di un grandioso classico. Chiudono The Wall, racconto di puro cinema springsteeniano ispirato al Vietnam Memorial di Washington, e Dream Baby Dream, diventato quasi un piccolo classico live, un pezzo d’intensità struggente, in cui l’espressività vocale del Boss è ai suoi massimi.
High Hopes è un disco di b-side, si sarebbe detto un tempo, diviso tra religione del rock e voglia di aprirsi ad altri suoni o altre idee di musica. Un disco minore, in un certo senso anche superfluo se non si è cultore del Boss: ma Springsteen dimostra ancora una volta un amore per la musica enorme, la voglia e la capacità di suonare, il mestiere di rendere bello anche l’inutile. In attesa che con il suo scagnozzo Morello diano vita a un nuovo, memorabile album d’inediti.