L’ormai agguerritissimo panorama della musica indipendente e alternativa alterna fenomeni folgoranti, che passano alle glorie dell’alta classifica, a delusioni cocenti che bruciano gli esordi. Gli MGMT, un tempo conosciuti come The Management, arrivano al 4° album, omonimo, e buon per loro fanno parte della prima categoria. Dopo il trionfo di Oracular Spectacular le quotazioni sono in crescita e i 10 brani di MGMT confermano l’attesa da parte dei fan: un disco che calca ancora più la mano su suoni e ritmi sintetici, melodie evasive ed eteree, voce lieve e atmosfere di contemporanea psichedelia.
Non fa praticamente un piega l’album, e i fedeli ascoltatori lo confermano, ma l’alternarsi tra dream pop, sintetizzatori, elettronica semplice e innocua con tocchi vintage sembra un gioco fin troppo facile, in tempi di Tame Impala e Alt-J. Reggono bene l’apertura fiabesca di Alien Days, I suoni tondi e cupi di Cool Song no.2, il pop che strizza l’occhio al folk di Introspection (forse il pezzo più bello) e l’andamento quadrato di Plenty of Girls in the Sea. Il resto però evapora nel mare di una musica alternativa che cerca i suoni o le tendenze, meno la compattezza delle idee compositive e musicali. Forse i MGMT cercano l’evanescenza, vedremo se saranno della stessa opinione quando l’amore del lunatico pubblico indie calerà.