E’ uno dei temi più dibattuti negli ultimi tempi, quello della violenza familiare sulle donne, e la Mostra del Cinema di Venezia non poteva esimersi dal portarlo in concorso: Die Frau des Polizisten del tedesco Philip Groning racconta l’inferno di una donna la cui felice vita con un marito poliziotto e la tenerissima figlia comincia a sgretolarsi proprio quando il marito comincia a dare segni di violenza e sfogarli su di lei.
Scritto dallo stesso Groning, Die Frau des Polizisten è un dramma glaciale costruito lungo 58 brevissimi capitoli, in media 3 minuti l’uno, che come tasselli di un puzzle complesso (lungo 3 ore) ricompongo una tragedia quotidiana e propria di molte culture. I tempi rarefatti e le calcolate lentezze, unite alla geometria delle inquadrature, danno la sensazione che Groning abbia applicato un metodo quasi scandinavo al cinema di Haneke, quello degli esordi, ma non per provocare, ma per stimolare lo spettatore anche sabotandone la partecipazione. Si fa portavoce di un’idea di cinema d’autore ostica, forse vecchia per il ricorso a simboli (la natura)e contrappunti all’apparenza incomprensibili, ma pure capace, per chi resiste, di disegnare un mondo, di calare lo spettatore nello stesso incubo della protagonista grazie alle immagini. Primo serio candidato per il premio alla regia.