Due linee narrative che non possono che scontrarsi: quella di un campionato della profonda Sardegna, in cui la rivalità tra due squadre è sintomo di lotte di classe e odi ancestrali, e quella di un arbitro che sta cercando la scalata al successo e al potere personale. Zucca, assieme a Barbara Alberti, riprendono un premiato cortometraggio di qualche anno fa dello stesso regista e ne cavano L’arbitro, una commedia in bianco e nero (stilizzato come la fotografia di Patrizio Patrizi) che pare un western sardo con il calcio al posto della frontiera, il pallone al posto dei proiettili e l’arbitro appunto al posto dello sceriffo, corruzioni comprese.
Zucca non ha timori reverenziali né nel sottintendere ai piani alti del calcio europeo, echeggiando l’arbitro De Santis, Platini, la Juventus, né nel giocare con uno stile raffinato ed elaborato, volutamente artificioso come le mosse di un convincente Stefano Accorsi, a cui però non mancano gli strappi surreali, come se Ciprì e Maresco si fossero votati all’humour. Meno convincente Geppi Cucciari, un po’ schiava del suo personaggio televisivo, mentre favoloso l’apporto di Benito Urgu, allenatore cieco: il suo discorso alla squadra dopo l’ingiusta sconfitta è trascinante come la versione accattona di quello di Braveheart.