Il campo della fantascienza adulta e politica è uno dei più affascinanti della letteratura e del cinema di genere, peccato che Hollywood se ne accorga solo per i pretesti a film medi o kolossal convenzionali. E’ ciò che accade anche a Neill Blomkamp, che dopo l’ottimo District 9 viene reclutato dagli USA per un film affine come Elysium, a cui però il cambio di nazionalità nuoce. Nel 2154, l’umanità è divisa in due classi: i ricchi, pochi eletti che vivono su una stazione spaziale lussuosa chiamata Elysium; ed i poveri, che vivono sul pianeta Terra, ormai sovrappopolato e poco abitabile. Il governo del pianeta stabilisce nuove leggi contro l’immigrazione, per tentare di fermare le persone che continuamente tentano di arrivare su Elysium, per preservare il lusso ed i benesseri per i pochi ricchi. Max dovrà così affrontare una missione che ha due possibili conclusioni: la morte o l’appianamento tra le due classi umane e il conseguente raggiungimento dell’uguaglianza mondiale.
Scritto dallo stesso Blomkamp, Elysium è appunto un film di fantascienza adulta e distopica, che dietro allo spunto d’abitudine – e che il cinema americano ha usato a iosa negli ultimi anni, da Wall-E ad After Earth – nasconde una riflessione interessante e potente sull’immigrazione vista dai due lati della frontiera, e quindi sui suoi risvolti politici e sociali. Poi però la lunga mano di Hollywood interviene e anziché portare l’affresco alle sue estreme conseguenze, anziché raccontare di uguaglianza e potere, riduce tutto a uno scontro buoni cattivi tra due cyborg/terminator che si prolunga per mezz’ora, dimenticando gli spettatori adulti e senzienti e puntando sui ragazzini, almeno nelle intenzioni. Chiudendosi poi sul più bello, quando il gioco si faceva davvero interessante, per ché un lieto fine non si nega a nessuno, e nemmeno un finale “epico” che appaga l’ego di divi come Matt Damon. Blomkamp ha molto da dire e raccontare, e si vede. Bisognerebbe solo che evitasse di far intromettere troppo l’industria nei propri lavori.