Mancavano a Roma da parecchio tempo e nei cuori degli appassionati da ancora di più. The Smashing Pumpkins, forse la più grande band degli anni ’90 (di sicuro Melon Collie and Infinite Sadness è il disco più bello di quel decennio), sembrano ormai un’altra band, rispetto a quella geniale e immaginifica che milioni di fan hanno amato. E di fatto lo sono: il solo leader e padre-padrone Billy Corgan resta, attorniato dal chitarrista Jeff Schroeder, il batterista Mike Byrne e la bassista Nicole Fiorentino. Declino? Molto probabilmente, ma a Capannelle, tappa romana del Shamrocks and Shenanigans Tour, The Smashing Pumpkins hanno mostrato un lato solare e alla mano inusuale, che ha permesso al gruppo di riscoprire una verace vena rock ‘n’ roll.
Doppia apertura di lusso per la band americana: prima i Beware of Darkness, gruppo americano al primo album che nonostante i pesanti echi di Led Zeppelin conditi da scorie glam riesce a funzionare soprattutto in chiave live, e soprattutto Mark Lanegan e la sua band, glaciale e carismatico come pochi frontman ha presentato soprattutto brani dal suo ultimo lavoro solista, il bellissimo Blues Funeral, tralasciando il lavoro più recente, firmato in coppia con Duke Garwood e meno ispirato, ma non dimenticando due perle dal passato con gli Screaming Trees. E poi arrivano The Smashing Pumpkins: vedere Corgan con pancetta sottolineata dalla maglia aderente fa pensare a un’operazione nostalgia, ma la partenza con Quasar e Panopticon, (brani che aprono l’ultimo disco Oceania, passo avanti rispetto a Zeitgeist ma comunque deludente) mettono le cose nella giusta prospettiva, quella di un gruppo che ha abbandonato la necessità di essere sempre oltre, di giganteggiare tipica del suo leader per dimostrare al pubblico di essere una band di rock: rumoroso, forse impreciso, ma caloroso.
I cambiamenti personali di Corgan sicuramente hanno influito sulla nuova disposizione emotiva e spirituale degli Smashing Pumpkins, e il pubblico se ne accorge: squarci di hard rock, chitarre aggressive, sezione ritmiche frenetica e galoppante, assoli e frangenti noise per coinvolgere un pubblico che aveva bisogno di riscoprire il gruppo. E più di due ore di concerto sono forse servite a questo: la Space Oddity di Bowie in accoppiata a Rocket, la bellissima Disarm che apre al capolavoro Tonight, Tonight, Ava Adore che fa da apripista al delirio su Bullet with Butterfly Wings, una scaletta con pochi cedimenti fino al quartetto che ne chiude la prima parte con Today, Zero, Stand Inside Your Love e United States. Nei bis, Corgan il suo dovere l’ha fatto, si è anzi dimostrato molto più pacioso del solito, giocando col pubblico, con la sua italianità e quella della band, divertendosi alle reazioni della platea: così può permettersi di rilassarsi con la bellissima Siva (inframezzata da Breathe dei Pink Floyd) e poi con il secondo encore, che chiude il concerto con l’inaspettata Immigrant Song dei Led Zeppelin e un’attesa Cherub Rock che saluta Roma.
The Smashing Pumpkins, ma potremmo ribattezzarla la Billy Corgan Band, sono sicuramente qualcos’altro rispetto alla magnifica realtà di 15/20 anni fa. Facciamocene una ragione, specie se dal vivo riescono a divertire e divertirsi: il talento di Corgan pare trattenuto e la verve dei propri compagni di viaggio non è all’altezza dei precedenti (la migliore, anche come presenza sul palco è la bassista Fiorentino), ma la voglia di fare del puro e coinvolgente rock, senza troppe sovrastrutture, potrebbe salvarli dal definitivo oblio.