Quali viali percorro, scivolando nel silenzio, in questi mondi ovattati, tra radici ritrovate, volti mai visti e famigliari, emicranie rodate.
E un giro di basso si ripete infilandosi tra i miei passi, disco rotto graziato da testarde eternità.
Mi piace. Lo lascio entrare, lo lascio pervadere, oltre le porte che tu stessa hai attraversato, innumerevoli volte in istanti contati, dove lacrime e baci prendevano il proprio tempo, senza dircelo, senza degnarci di un battito.
E danzo davanti a traiettorie teleguidate, rivolte assoggettate a sociale arte, nevicate perse in estati negate.
E non cambia nulla. Un solo, singolo pugnale di brezza.
Le parole sbocciano lontano, seguono vie tremende per palesarsi, maestose.
E mi sento vecchio, e senza tempo.
Come se potessi galleggiare.
Come se tu potessi ascoltarmi, con tutto il resto che sbatte d’una tempesta gridata nel silenzio d’ogni fiato.
E sorridere.
Non c’è nessun addio.
E niente può toccare quanto è stato, quanto sarà nell’aurora incombente.
Nel sorridere, nel saperti sorridere.
Perché sento le tue guance stendersi,
Le tue labbra coricarsi sul manto di ciò che muove i pensieri.
Nessuna distanza.
Come se una parola potesse distruggere presidi, frasi mozzate, spiriti capovolti.
E ho la calma per vedere tutto.
E non ho paura che il tuo ego si riscaldi sulle mie ali sferzate dal vento.
Non ho più paura.
Perché so cantare, in qualche goffo e pieno modo, di te.
Le forze sopra noi pontificano, e le guardo respirare con indifferente meraviglia.
Sussurrano di noi.
E per quanto tu nei dettagli, che tutto sono, ci sono briciole di senso che si perdono in queste nevicate isteriche e fugaci.
E vorrei riportartele, colme, con le mani giunte perdendo soltanto briciole di scienza e automi.
Ma la mia anima, in punta di piedi, per scaldarti.
Buongiorno, che oggi sia tuo.
Il resto, il resto me lo racconterai.