34 anni di carriera e la capacità di parlare chiaro e forte al proprio pubblico restando fedeli a se stessi. Non è facile, ma se sei una bandiera punk forse è più facile. I Bad Religion arrivano al 16° album in studio con True North, edito come sempre dalla benemerita Epitaph, arrivando nella Top20 di Billboard, cosa mai accaduta alla band. Ma è il modo in cui lo fa la band di Greg Graffin a colpire, cercando quei ritocchi che servano a mantenere il linguaggio, non a cambiare lingua.
True North mantiene molte delle caratteristiche tipiche del sound dei Bad Religion, come le ritmiche veloci, le chitarre taglienti e le melodie curatissime, ma allo stesso tempo fa collidere il mondo dell’hardcore – che è come se avessero inventato loro con How Could Be Any Worse? – con la depressione del mondo in crisi, i tempi in levare e le velocità elevate con una malinconia permeante che li porta ad appesantire composizioni e in parte suoni. Ma la collisione funziona solo in parte.
Perché se l’apertura con la la title track o la bellissima Robin Hood in Reverse, degna di stare tra i classici del gruppo, folgorano, il resto procede un po’ a tentoni: 16 tracce rigorosamente sotto i 3 minuti che non sempre sanno colpire il bersaglio a causa di una certa confusione compositiva. Così Fuck You guarda ai migliori Offspring (coloro che per un periodo meglio interpretarono la lezione dei Bad Religion), Hello Cruel World rallenta e si trascina cadenzata, Crisis Time apre all’hard-rock e qua e là si sentono echi di rock ‘n’ roll e tentazioni passatiste. Non tutti i brani convincono e proprio le melodie, cuore pulsante della band di Los Angels, cedono: ma almeno dal punto di vista della potenza, la discutibile parte centrale lascia spazio a un finale notevole con Nothin to Dismay, My Head Is Full of Ghosts e The Island sugli scudi.
Non un vero e proprio passo falso, visto che l’attitudine di Graffin e soci non si discute e la solidità qualitativa nemmeno, semplicemente l’ispirazione ha tradito in qualche occasione, e la malinconia di cui s’imperniano le loro canzoni qua e là diventa stanchezza. Niente che un buon pogo non possa far perdonare, insomma.