Dopo più di 30 anni passati in giro per il mondo a mostrare il cuore pulsante dell’heavy metal con gli Iron Maiden, Steve Harris debutta da solista con i British Lion, il cui album omonimo permette al grande bassista di prendere un gruppo emergente e attraverso canzoni dal gusto più mainstream e radiofonico di farsi conoscere anche dai metallari più smaliziati, al contrario di quanto accade dai primi anni ’90, quando Harris divenne mentore della band.
Il passo decisivo il bassista lo compie nel settembre dell’anno scorso, quando l’album esce e mostra le carte di questo progetto parallelo, che ricordano le stesse carte che Bruce Dickinson ha giocato nei suoi dischi da solista: apertura al rock e alle sfumature del genere, meno granito, più melodia. Ma se Dickinson poteva vantare collaboratori e compositori di pregio, British Lion pare più la scampagnata musicale di un gruppo di amici riunite per fare del rock, sano, vecchio stile, che guarda all’hard e agli anni ’70 con dosi di AOR e trovate che non tralasciano la New Wave del metal inglese di cui i Maiden sono stati alfieri.
Aperto dai suoni placidi e un po’ semplicistici di This Is My God (sorretta proprio dal basso di Harris), British Lion raccoglie 10 canzoni che aprono alle classifiche rock senza troppi fronzoli, ma anche senza eccessive aspettative: le chitarre acide di David Hawkins e Graham Leslie costeggiano Karma Killer, la ritmica quadrata di The Chosen Ones ha il sapore dell’inno, l’andamento sinuoso di Judas che contrasta con l’attacco maideniano di Us Against the World, i richiami addirittura a Brian Adams in Eyes of the Young ne fanno un album spensierato, suonato con gioia.
Ma che in un certo senso stenta ad arrivare al professionismo: non perché Harris e soci non sappiano suonare (anche se il cantante Richard Taylor solleva più di un dubbio), ma perché la produzione dello stesso Harris con Taylor e Hawkins tende a sottolineare la natura quasi scherzosa di composizioni grezze e non sempre efficaci. E lascia l’effetto di un concerto di giovani promosse in cui sotto il carbone intuiamo il diamante. Solo che qui, per via della luce di Harris, è il carbone a oscurare la brillantezza.
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