Goltzius è un incisore del 16° secolo che raggiunge il successo con stampe e spettacoli erotici che il potente Margravio vuole censurare. Così cerca di convincere e sedurre il nobile attraverso una serie di rappresentazioni di argomento biblico, ma il potere e la libertà di costumi e pensiero non vanno a braccetto. Scritto dal regista Peter Greenaway, Goltzius and the Pelican Company è un classico gioco al massacro tipico del regista, dramma storico e riflessione estetica, satira ed erotismo, tragedia e vortice d’immagini.
Su un esplosivo impianto da videoarte estrema, poesia visiva mescolata al grand guignol pornografico che da sempre stuzzica l’immaginario di Greenaway, il film riflette sulla potenza dell’arte visiva, sulla sua forza sovversiva, ma anche sull’avidità umana di potere (inteso anche e non solo come ricchezza) e sesso e sulla forza della censura. Esplosione di stili e vortici visivi, tra scenografie di archeologia industriale e costumi d’epoca, umorismo sfacciato e violenza atroce su coltissime strutture visive (e musiche grandiose di Marco Robino), lezione di storia dell’arte e rivisitazione provocatoria della Bibbia. C’è tutto Greenaway e anche di più: ma Goltzius and the Pelican Company, che ha vinto il Mouse d’argento come miglior film delle altre sezioni, sembra anche un po’ svuotato d’intensità e forza rispetto alle sue migliori. Comunque ad averne.