Ti ricordi la prima volta che hai visto Alien di Ridley Scott del 1979? Ti ricordi il buio, l’astronave aliena abbandonata sul pianeta LV-426? Ti ricordi il timore provato per la rag-tag di esseri umani che si avventuravano dentro, chiedendosi che cosa avrebbero trovato? Ricordi anche il grande fossile, creatura vagamente umanoide seduta nel posto del pilota nel mezzo della nave?
L’Ultimo film di Scott, Prometheus, si cala dietro il sipario di questo mistero lungo 33 anni (numero non casuale per la Cabala), e ciò che viene rivelato è davvero terrificante: un prequel completamente vacuo, che si spaccia per un film sulle origini cosmiche dell’umanità.
“Prometheus“, lungo il percorso di incubazione e sviluppo è diventato un progetto autonomo e ha abbandonato la strada maestra e i capisaldi dell’espressione e contenuto di “Blade Runner”.
La sorpresa più grande di “Prometheus” potrebbe essere quanto poco originale sia; visivamente impressionante e con uno o due picchi di eccellenza, il film mostra velocemente il suo essere un esercizio grafico, troppo spesso gioca come un puzzle fra archetipi, immagini e tropi di innumerevoli altri film.
La delusione si avverte, dopo un periodo di assestamento, successivamente ad una ouverture promettente, nel corso della quale la macchina fotografica di Scott piomba maestosamente su un paesaggio ultraterreno, una partitura orchestrale portentosa affermando che, piuttosto che la fuga dai mostri tentacolari, “Prometheus” intende prendersi molto sul serio.
Ben presto, si incontrano gli attori principali: Charlie Holloway (Logan Marshall-Green) e Elizabeth Shaw (Noomi Rapace), gli archeologi che stanno conducendo un gruppo di esploratori nel 2089 alla ricerca di dipinti murali che confermino le loro teorie riguardo l’origine extraterrestre/terrestre della vita.
L’azione riprende qualche anno più tardi, Holloway, Shaw e il loro team ragtag – supervisionato dalla burocrate aziendale Meredith Vickers (interpretata da Charlize Theron)– sono a bordo di un veicolo spaziale chiamato Prometheus, che, sotto il patrocinio della Weyland Industries, li sta conducendo verso un luogo sconosciuto e, presumibilmente, padre dell’origine dell’essere umano.
Il ruolo “spirituale” del plot viene affidato al valletto/androide della nave: David, interpretato da Michael Fassbender in una performance che ricorda David Bowie ne “L’uomo che cadde sulla Terra”. Lo vediamo apparire nella scena, mentre studia assiduamente ” Dirk Bogarde” “The Servant” e Peter O’Toole in “Lawrence d’Arabia” per imparare a ragionare e comportarsi come un essere umano. Fassbender, offre una performance sicura e sottile, con un superbo controllo dell’espressività fisica, peccando unicamente nel palesare continuamente (colpa della sceneggiatura) i riferimenti espliciti ad una cinematografia di genere.
“Prometheus” ammicca costantemente, o almeno ci prova, “2001: Odissea nello spazio” , “Star Trek” e altri capostipiti, che vengono chiamati in causa per giustificare una palese carenza contenutistica.
Non posso affermare che mi sarei aspettato di più da Ridley Scott.
Amo Alien e Blade Runner come tutti i fan del genere, e riconosco la sua influenza su ogni film di fantascienza successivo. Ma, per il resto della sua filmografia, da il sopravvalutato Il Gladiatore e Thelma & Louise, il mediocre Legend e Kingdom of Heaven, il decisamente terribile Hannibal e GI Jane, ha dimostrato di essere un tiratore eccellente che ha imperniato il successo delle sue opere sulla qualità dei suoi sceneggiatori, creando storie di sicuro appeal emotivo verso il pubblico (cinema facilone).
Questa volta, ha scelto di affidarsi allo sceneggiatore del discutibile Cowboys & Aliens, Damon Lindelof, dimostrando che, se il vostro obiettivo è quello di riportare su schermo l’ambizione e la provocazione di un film di fantascienza incentrato sulle origini dell’uomo, questo potrebbe non essere il giusto cavallo sul quale puntare.
Il problema di Prometheus si chiama anche: Hollywood. La mecca del cinema non è più il posto dove creare sogni ed incubi capaci di influenzare l’immaginario collettivo: perché domina ormai il concetto di franchise, quindi del riciclo. Volendo andare più a fondo, il problema di Prometheus non starebbe nemmeno qui: l’idea di Scott, onestamente intrigante, era quella di ricostruire un nuovo immaginario su quello generato dal suo primo Alien. In parte Scott riesce a stupire, Prometheus è una opera visivamente prorompente, che non contiene neanche un briciolo della classe o l’uniformità del tono del primo Alien, tantomeno la sostanza della materia nobile che tenta di esplorare. Ben presto dimostra il suo lato “leggerissimo”, personaggi e situazioni che non sono lontanamente credibili, una trama palesemente ordinaria, che trae spunto dal genere horror grottesco di seconda categoria.
Non contento Scott sale sul carrozzone del 3D limitando (paradossalmente) le sue immagini sorprendenti, e minandole con un effetto del tutto privo di profondità e incompatibile con i livelli colore della filmografia sci-fi di Ridley Scott.
AZIONI DEI PROTAGONISTI DI PROMETHEUS:
Un film quanto meno opinabile, un opera votata al Box Office, che dimostra come anche Ridley Scott abbia, probabilmente, finito le idee al pari di una società che cerca nei fasti passati una giustificazione in favore di azioni future.