Anna e Francesca sono due amiche talmente unite che spesso il loro rapporto sfiora il lato setimentale e sessuale. Attorno a loro si muovono due famiglie difficili e compicate. Sullo sfondo, la riviera toscana e la fabbrica, croce e delizia di ognuno degli abitanti. Stefano Mordini, documentarista al 2° film di finzione, ha la possibilità di fare il grande salto dirigendo, e scrivendo assieme a Giulia Calenda e Silvia Avallone, la trasposizione di uno dei più grandi successi letterari italiani degli ultimi anni, scritto proprio da Avallone; ma Acciaio (nelle Giornate degli Autori), nonostante il supporto dell’autrice, il film diventa un teen-story come un’altra che sembra non aver capito, e forse nemmeno letto, il libro di partenza.
Lungi da chi scrive proclamare il bisogno di fedeltà tra un libro e un film, semmai il contrario, qui il problema è che si sono travisate del tutto le intenzioni di partenza e soprattutto si è sprecato del materiale che avrebbe potuto superare il romanzo: Mordini fa della fabbrica un debole controcanto a una storia adolescenziale ripresa con occhio morbosetto, che sta attaccato – secondo vieti dettami neorealistici – alla seduzione delle protagoniste e non le rende mai veri personaggi, come la fabbrica, luogo quasi neutro, prima che un’improvvida e gratuita tragedia faccia pensare alla critica. Invece Acciaio è un fallita operazione di consenso culturale che sbaglia gli stessi mezzi con cui condurla, dal costante uso di canzoni e musiche da serie tv a una Vittoria Puccini decisamente fuori posto. Come un libro che dal suo scaffale finisce in quello dei dvd.