La trama vede le 4 protagoniste compiere una rapina per potersi pagare le vacanze primaverili e scatenarsi. Ma quando vengono arrestate, e la loro cauzione pagata dal gangster Alien, il gioco diventa molto più duro. Scritto dal regista Harmony Korine, Spring Breakers è niente più che un soft porno virato all’estetica pulp che cercando di raccontare la deviazione di un gruppo di ragazzette ne mette in scena le grazie con piglio morboso ed estetica che fa della bruttezza il suo imperativo.
Già insopportabile dopo i primi 20 minuti in cui oltre alle forme delle protagoniste si sentono le loro insulse parole, a poco a poco Korine vorrebbe anche comunicarci il loro disagio, pretende che lo spettatore prenda sul serio dei personaggi insulsi e costruisce attorno a loro una sceneggiatura che è un osceno delirio, un trionfo del kitsch stordente, incarnato in 4 passamontagna rosa, che vira nel sogno di un Tarantino sotto coca e senza ironia (o se c’è non si vede). 3 concetti in croce ripetuti ad libitum per un’ora e mezza, ammiccamenti venati d’ipocrisia e specchietti per allodole eccitate non fanno un film selvaggio, così come le pistole che si ascoltano fuori campo durante il film non fanno poesia tragica e non possono orecchiare offensivamente al Sam Peckinpah che si vorrebbe rievocare nel finale. Le protagoniste recitano come se dovessero adescare gli spettatori (cosa che Korine evidentemente spera con tutto il cuore), come spogliarelliste al night club attorno a uno strafatto James Franco che perlomeno ci mette un po’ di senso del ridicolo. Cosa che a Spring Breakers manca del tutto, così come quello del cinema e della dignità.