Dopo la morte della figlia uccisa da un maniaco sessuale, una madre chiede alle amichette testimoni della tragedia di trovare il colpevole, altrimenti patiranno un castigo. 15 anni dopo, ognuna delle ragazze deve fare i conti con quella promessa. Il regista Kiyoshi Kurosawa, tra i cantori della new wave giapponese dell’orrore tra i ’90 e gli ’00, arriva fuori concorso al Lido con la versione cinematografica di 4 ore e mezza di una miniserie tv in 5 episodi che vira verso il dramma sociale una tipica storia di vendetta e rimorso.
Strutturata in 5 capitoli, più un prologo, ognuno dei quali dedicato a un personaggio e alla sua penitenza – traduzione più azzeccata di Shokuzai/Penance perché rende l’atmosfera infantile della premessa – la miniserie scritta dallo stesso Kurosawa con Kanae Minato racconta l’anaffettività sociale del Giappone, l’acuto formalismo borghese che si cristallizza e s’incancrenisce in parole e simboli che anziché ricalcare valori e tradizioni ne rappresentano la morte. Basterebbe il primo episodio, quello della bambola, per definire il progetto allegorico del film e ogni capitolo descrive con cupezza un lato della ciiltà nipponica, sciogliendosi in una conclusione che sarà anche convenzionale, ma che è coerente con l’anima romanzesca che si cela dietro al lavoro di Kurosawa: l’uso espressivo dell’illuminazione, la geometria delle scene, la costruzione allo stesso tempo di un’atmosfera agghiacciata e di un pathos sottile esaltano una descrizione dei personaggi notevole, che s’illumina della classe e della bellezza di Kyoko Koizumi. Se qualcuno notasse affinità col bellissimo Confessions di Nakashima avrebbe ragione: la sceneggiatrice e l’autrice del romanzo di partenza, scrisse anche quel film.