Il mockumentary, ossia il finto documentario, è un filone che ha trovato molta fortuna negli ultimi anni, quando la proliferazione democratica delle immagini ha portare la verità a confondersi sempre più spesso con l’invenzione. Ma il gioco risale addirittura ai primi anni ’80, allo Zelig di Woody Allen. A questo e a Forgotten Silver di Peter Jackson s’ispirano Lorenzo Garzella e Filippo Macelloni per raccontare una storia impossibile eppure credibile: quella del Mundial dimenticato in Patagonia.
Nel ’42, con la 2^ guerra mondiale che infuria, la leggenda racconta che si svolse un curioso campionato del mondo in Patagonia, terra argentina non toccata dal conflitto, non riconosciuto dalla FIFA che raccolse delle squadre alternative in nome dei veri valori del calcio e dello sport. A riprendere gli intrecci tra storia, vicende private e sportive ci fu un misterioso cine-operatore ritrovato sepolto, decenni dopo, con la sua macchina da presa. Deliziosa commedia vestita da reportage d’epoca, cine-giornale e reperto d’archivio scritto dagli stessi Garzella e Macelloni ispirandosi a un racconto dello scrittore argentino Osvaldo Soriano.
Un vero e proprio film sportivo, sorta di risposta italiana e ironica a Fuga per la vittoria di Huston, che mescola sullo sfondo di una competizione sospesa tra invenzione, leggenda e fantasia idealistica tutti gli elementi del racconto popolare: uomini che sacrificano tutto per un sogno, ideali che sfidano le istituzioni, controverse storie d’amore, impossibili imprese che diventano realtà – letteralmente, visto il lato cinefilo – sotto i nostri occhi. Ma soprattutto, Garzella e Macelloni si divertono a riscoprire la forza leggendaria del calcio, la sua capacità affabulatoria e fiabesca: come la capacità ipnotica del portiere mapuches che s’ispira al mitico portiere spagnolo Zamora. E ce n’è bisogno, in Italia, in un momento di calcio-scommesse e frodi sportive.
Nel complesso quanto snello progetto di Garzella e Macelloni però ci sono anche precise riflessioni sul colonialismo della storiografia e delle immagini, quanto un lavoro approfondito sulla ricostruzione estetica che si apre a squarci divertenti, come nella sequenza in cui si racconta la nascita della moviola in campo o nel ritratto del personaggio (centrale in Soriano) dell’arbitro, figlio di Buffalo Bill. I due registi trovano un buco nella storia e nella memoria e la ricostruiscono con rispetto e fantasia, non barando mai su ciò che sarebbe reale e ciò che non lo è, ma anche dando la piacevole sensazione di aver visto una fiaba possibile.