La danza è arte complessa. Mutua la propria unicità dalla combinazione di più virtù, spesso dicotomiche: forza e leggerezza, giovinezza ed esperienza, tecnica e cuore.
Al contrario del modello che spesso viene proposto dai mass-media, il mestiere del danzatore comporta tale dedizione e sacrificio da annullare, il più delle volte, qualsiasi speranza che allievi dotati di un bel collo del piede ed un corpo naturalmente sinuoso potrebbero addurre.
In “Nuove Stelle” – in scena al Teatro Olimpico fino al 25 Marzo – è stato riposta molta attesa. La voglia di riconoscere il Roberto Bolle di domani tra le file dei promettenti allievi del Teatro alla Scala è, come si può immaginare, palpabile.
Forte di ciò, la Scuola di Ballo oggi diretta da Frédéric Olivieri, mette in scena un ensemble di giovanissimi a cimentarsi con numi tutelari dell’arte coreutica quali Kylián, Petit e Preljocaj oltre all’atto bianco de “La Bayadère”.
Larmes blanches, creazione del 1985 del coreografo franco-albanese Angelin Preljocaj vede due coppie di danzatori rappresentare le trappole in cui rischia di cadere quotidianamente una relazione amorosa. Il quadro è elegantemente eseguito, anche quando la coreografia li impegna in lunghe ripetizioni prive di pause. Ma quanto possono essere emotivamente credibili dei quattordicenni alle prese con tali tematiche?
Il punto è proprio questo: la scelta di confezionare uno spettacolo con tale repertorio, se da un lato esalta le indubbie qualità tecniche dei giovanissimi danzatori, dall’altro ne sottolinea la –ovvia – poca esperienza di palcoscenico, trasformando l’intera operazione in una sorta di saggio accademico.
Ciò appare più evidente nell’atto Il Regno delle Ombre da “La Bayadère” dove al virtuosismo della posa plastica non corrisponde quasi mai altrettanta sicurezza in dinamica.
Promettenti invece, anche perché più grandi, appaiono i tre danzatori del quadro di Roland Petit: Gymnopédie, ripresa da Lienz Chang, musica di Eric Satie, nato inizialmente per Ma Pavlova, nel 1986, e poi sviluppato per Tout Satie, spettacolo – o dance concert, come lo chiamava Petit – in un solo atto, del 1988. Una partitura scherzosa e seducente che ammicca al balletto classico e al gioco di coppia, permette ai danzatori di utilizzare la propria tecnica senza restare intrappolati nella rigida compostezza della forma, mettendola invece al servizio del costrutto coreografico. Tocco di classe, l’esecuzione dei brani di Satie dal vivo con uno splendido pianoforte a coda a far da scenografia.