“Io lavoro nella casa di padri immortali, e la loro disciplina trova un posto d’onore nelle stanze della mia espressività. Ma così come sono un buon figlio devoto, allo stesso modo devo anche disobbedire, e ribellarmi. E’ la mia responsabilità. Perché in fondo, cos’è l’arte se non questo?”
Giorgio, pittore bolognese, scrive nel suo diario, gli ultimi capitoli della sua esistenza.
Annette, giovane fioraia – allieva di Giorgio – diventata cieca, è ossessionata da visioni diaboliche, forse inculcate da un’educazione molto rigida.
Trent’anni dopo la morte di Giorgio, ecco la storia di Peter Caldicutt, anch’esso pittore, paesaggista, vivrà un’esperienza che farà riaffiorare svariati ricordi.
Infine Susan, figlia di Peter, qualche anno dopo, con la scomparsa prematura del fratello gemello, cadrà in un baratro di perdizione fisica e mentale.
Quattro esperienze al limite, che tuttavia, divengono qui pretesto per un dialogo a distanza su tematiche ancestrali e dicotomiche quali la vita e la morte, l’arte e la realtà, l’innocenza e l’esperienza.
E mentre Peter e sua figlia Susan sperimentano la paralisi, sia essa fisica o mentale, al contrario Giorgio e Annette hanno il dono di saper penetrare la realtà superficiale delle cose. La cadenza ciclica col quale si avvicendano i capitoli dedicati a questo o quel personaggio, se ad un primo approccio possono apparire frutto di un puro calcolo matematico, ad uno sguardo più attento appaiono finemente sviluppati perché ne risultino condizioni di causa ed effetto che sovrastano e dunque ignorano il normale scorrere del tempo.
Il tutto condito da una prosa, emotiva e coinvolgente, che seduce il lettore conducendolo sapientemente verso la risoluzione finale. Progetto ambizioso e riuscito.
Il plauso va a Gran-Via Edizioni che con “Ritratto di un uomo morto” rilancia il suo marchio con un progetto di grande qualità.
http://www.gran-via.it/libro.php?id=42